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Il Foglio sportivo

Aiuto, in Serie A stanno sparendo i gol degli italiani

Giuseppe Pastore

In nessun campionato d’Europa così poche reti  dei giocatori di casa. Numeri e politica. Le contromosse di Gravina

Spesso la nostalgia del passato è solo un grande inganno; eppure, riportiamo banalmente dei fatti quando ricordiamo che la prima giornata del campionato 2003-2004 era stata salutata da ben 20 gol italiani, da Vieri a Del Piero, da Di Vaio a Di Natale, da Fiore a Materazzi, e se Totti aveva marcato visita fu solo perché era squalificato. In meno di vent’anni siamo passati da venti a uno, il gran sinistro al volo con cui Domenico Berardi ha deciso Sassuolo-Lecce: nella storia della Serie A non ha precedenti il caso di un intero turno di campionato con una sola rete italiana. Non è sovranismo da quattro spicci sottolineare che abbiamo un problema. Meno del 20 per cento dei gol segnati nelle prime due giornate di Serie A (9 su 47) è italiano.

 

Un problema solo nostro? Nonostante il mercato globale, le percentuali salgono sensibilmente negli altri top campionati europei: 28,4 per cento in Premier League, 34,9 in Bundesliga, addirittura 49 nella Liga spagnola. La malinconia di Italia-Macedonia è ancora ben stampata sulle retine per dimenticarci che in questo periodo storico abbiamo un grosso problema di attaccanti: tra i calciatori attualmente in Serie A il capocannoniere italiano sotto i 27 anni è Federico Chiesa, fermo ormai da nove mesi, mentre per trovare un centravanti puro bisogna scendere fino ai 24 gol di Pinamonti. Scamacca è volato al West Ham, ma fin qui in campionato ha raggranellato tre panchine su tre; Lucca ha segnato con l’Ajax, sì, ma si trattava della seconda squadra. Joao Pedro è emigrato al Fenerbahce “e più non dimandare”. Delle prime quattro della scorsa stagione, nessuna ha ancora schierato titolare un italiano con qualità vagamente offensive. Ma, a parte il Monza italianissimo anche – sospettiamo – per ragioni politiche, l’esterofilia è ormai dilagante anche in zona-salvezza, dove i vari Ceesay, Dessers, Botheim, Nzola, Lammers, Okereke svolgono il lavoro che “gli italiani non vogliono (o non sanno) più fare”.

 

Luca Marchetti, punta di diamante della squadra mercato di Sky Sport, osserva che negli ultimi anni “c’è stata certamente una dispersione del talento in generale, in particolare in attacco. Una volta i cosiddetti bomber di provincia rimanevano sempre tagliati fuori dalle convocazioni; oggi è proprio in provincia che si va a cercare gli attaccanti della Nazionale”.


La carestia di gol procede di pari passo con il calo progressivo delle semplici presenze, in tutti i ruoli: nelle prime due giornate i titolari italiani sono stati solo il 33,9 per cento – tre anni fa erano il 40, cinque anni fa il 47, eccetera. Per questo motivo, pochi giorni fa il presidente federale Gabriele Gravina ha auspicato una riforma delle rose sul modello della Germania. Oggi, nella lista dei 25 calciatori che ogni club consegna alla Lega a inizio stagione, devono esserci almeno quattro prodotti del proprio settore giovanile più altri quattro provenienti da altri settori giovanili nazionali. Con l’appoggio dell’Aic, Gravina ha proposto di passare a 5+5 dalla prossima stagione e a 6+6 per il 2025-26, nella stagione che culminerà con il Mondiale americano che non possiamo assolutamente permetterci di mancare (ma lo si diceva anche nel 2021-22...). Ma non è scritto da nessuna parte che questi giocatori debbano per forza essere italiani; e qui dobbiamo inevitabilmente scendere a patti con l’elefante nella stanza, il decreto Crescita approvato nel 2019 e rivolto ai lavoratori stranieri in Italia da meno di due anni, che nel calcio ha trovato pronta applicazione, benefica per i club ma nefasta per il nostro movimento. Così a maggio si è tentato di mettere mano al testo originale, limitando le agevolazioni fiscali solo agli ingaggi sopra il milione di euro lordo e ai calciatori di almeno 20 anni: una versione annacquata, frutto dei soliti compromessi tra interessi economici e di bandiera, che non ha impedito alla gran parte dei club di Serie A di proseguire nella stessa politica e in buona sostanza, come nota Marchetti, “non ha prodotto alcun effetto su questa sessione di mercato. Prendiamo due attaccanti di valore e ingaggio equivalente, per esempio il francese Thomas Henry e l’italiano Bonazzoli: se tutti e due guadagnano – mettiamo – un milione di euro netto, per effetto del decreto Crescita Henry costerà 1,7 lordi e Bonazzoli invece 2, quindi sarà economicamente più conveniente comprare il francese”.


Vista la precarietà del quadro politico e la debolezza dei primattori sulla scena, i propositi di Gravina sono circondati da un certo scetticismo. Probabilmente si procederà italianamente di tampone in tampone, di palliativo in palliativo, e la fine sembra nota. Osserva Federico Pastorello, agente non solo di Lukaku, ma anche di tanti attaccanti italiani, da Lasagna a Cutrone. “Spesso queste norme introdotte in situazioni di crisi hanno un effetto placebo che tende a dissolversi in breve tempo, e i problemi si ripresentano nuovamente, contribuendo ad allargare il gap con le nazioni più visionarie che hanno fatto riforme profonde. Mi spiace vedere un calciatore come Salvatore Esposito classe 2000, già convocato da Mancini in Nazionale, che non riesce a trovare collocazione in Serie A per via di stranieri di dubbie qualità che arrivano in Italia e che per via del Decreto Crescita sono più vantaggiosi di lui o di altri giovani italiani”. E così, all’inizio del primo grande weekend di Serie A 2022-23, con Lazio-Inter, Juve-Roma e Fiorentina-Napoli in calendario, ci congediamo con un’ultima nota di mestizia: per la prima volta dopo 30 anni, dopo 180 minuti di campionato nessun italiano è riuscito a segnare più di un gol. 

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