Il Foglio sportivo
Non solo Jacobs e Tamberi: l'Italia dell'atletica c'è
Con 34 finalisti sui 90 entrati in gara lo sport più globalizzato del mondo continua a crescere dietro alle nostre stelle
L’eredità dei 5 ori di Tokyo, che ha trasformato l’Italia dell’atletica in un modello da studiare, non si è dispersa nella stagione post-olimpica forzata dal doppio impegno Mondiali-Europei. Nella rassegna continentale in Baviera, le note positive non sono venute solo da tre ori, due argenti e sei bronzi che ci hanno proiettato al settimo posto nel medagliere, ma anche dalla compattezza del movimento: 34 finalisti su 90 atleti entrati in gara e 39 promossi su 65 partecipanti ai turni eliminatori hanno dato lo spessore di un movimento che ha raggiunto il traguardo più significativo nella classifica a punti: terzi alle spalle di Gran Bretagna e Germania.
È vero che con 11 medaglie ci è mancato un podio rispetto al massimo storico di Spalato 90 al punto da far dire al presidente Stefano Mei ironicamente: “A saperlo a Spalato non vincevo il bronzo sui 10.000 così adesso potrei vantarmi di aver ottenuto il record con la mia gestione”. Ma, senza dimenticare l’assenza di Russia e Bielorussia, una squadra che piazza 34 atleti fra i primi otto può guardare con fiducia al futuro che passa dai Mondiali di Budapest 2023 e dagli Europei di Roma 2024 prima di rimettersi in gioco alle Olimpiadi nell’appuntamento di Parigi.
Che squadra vedremo fra due anni? Nonostante gli acciacchi, Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi, che hanno replicato a Monaco l’oro di Tokyo, sembrano in grado di restare ai vertici per molti anni; il marciatore Massimo Stano si era ripetuto ai Mondiali di Eugene e probabilmente ha pagato a Monaco solo la stanchezza; Antonella Palmisano, ancora ferma per infortunio, è una carta sicura. Solo la staffetta 4x100 ha fatto un reale passo indietro rispetto all’oro olimpico e desta non poche preoccupazioni nonostante il bel bronzo di Tortu nei 200: dei quattro frazionisti olimpici, Lorenzo Patta e Fausto Desalu, vengono da una stagione negativa ma non appaiono sostituibili.
Il c.t. Antonio La Torre nel bilancio ha promosso l’Italia, ma senza il massimo dei voti perché le controprestazioni non sono mancate. Il passaggio dalla dimensione europea a quella mondiale penalizzerà proprio il mezzofondo, che è stato il settore che ci ha portato le due medaglie di Crippa e la quasi doppietta dei siepisti. Qui con gli africani cambia tutto e per Parigi l’unica strada abbordabile per il podio resta quella della maratona, approdo naturale proprio di Crippa. Così come possono crescere ancora molto, con prospettive di podio olimpico, i triplisti Dallavalle e Ihemeje. E il bronzo mondiale Vallortigara, deludente a Monaco, deve solo superare le note barriere psicologiche.
Ma, al di là delle medaglie e del miracolo delle staffettiste veloci, se dobbiamo cercare i veri vincitori di Monaco dobbiamo aprire altri fronti. In chiave azzurra fra i sette autori di record personali il neoprimatista del decathlon Dario Dester e i mezzofondisti Barontini, Arese e Riva. Nel cuore di chi ha vissuto all’Olympiastadion le suggestioni dei tragici Giochi di 50 anni fa, resta anche una sorta di ammirazione per il numerosissimo pubblico tedesco capace di incitare a livello calcistico gli atleti di casa ma anche di sottolineare i momenti tecnici più importanti delle gare e di commuoversi fino alle lacrime per gli atleti ucraini che in piena guerra hanno conquistato due ori, un argento e un bronzo. Potenza dello sport più globalizzato del mondo.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA