IL FOGLIO SPORTIVO - IL RITRATTO DI BONANZA
Il calcio e la logica dei soldi
In Francia va bene che vinca sempre il Paris Saint Germain, cosa che si capisce ormai allo scollinare del girone d’andata. Ma noi, che francesi non siamo, possiamo immaginare un mondo diverso. Quello dove all’esagerazione contrapponiamo le idee
Quando si parla di soldi, tutti restano a bocca aperta, come se i soldi fossero l’unica parabola di un sogno, un affascinante ragionamento, lento o veloce che sia. A me invece dei tanti soldi (sottolineo tanti) non frega niente, e quando il discorso si porta sul tanto denaro (ancora tanto!) comincio a canticchiare una canzone. Sarà una mia debolezza, non si può escludere.
Capisco di avventurarmi in un territorio più che vagamente populista, ma c’è un contrasto che risulta quanto mai insopportabile tra la realtà che ci circonda (gbt, guerre bollette e tasse) e il calcio. A Skriniar non basterebbero cinque milioni all’anno per vivere all’Inter. Ci sono i parigini che gliene offrono 7, anzi 9, magari pure 11, visto che ci siamo e la tombola è vicina. Quella contro gli emiri, o contro tutti quelli che sparano denaro come se fossero manciate di coriandoli, è una guerra persa in partenza, e quindi tanto vale arrendersi. Volete Skriniar? Prendetevelo, e con lui anche tutta la famiglia.
Non c’entra il giocatore, che fa bene (boh!) ad accettare il super, dimenticando il più, c’entra il sistema. Oddio, il sistema, come ne esco da questa parola così ambigua e scricchiolante. Il calcio fa parte di quale sistema? Il sistema dove ognuno fa come gli pare, fondando il suo stato, la sua evoluzione, sull’anarchia o, per essere più corretti, sulla libertà di offerta? O il sistema dove sono le regole quelle che portano uno sport così radicato nella cultura mondiale, a evolversi, cambiando pelle in nome di uno spettacolo globale? Ma quali sono queste regole, e come si fa a imporle senza ledere dei semplici fondamenti del libero mercato? Non ho risposte, visto che da un lato si mina il capitalismo (ho tanti soldi, li metto dove mi pare), dall’altro il principio molto sportivo secondo cui lo spettacolo sta esattamente dentro un ambiente dove regna un sostanziale equilibrio.
Ai francesi va bene che vinca sempre il Paris Saint Germain, cosa che si capisce ormai allo scollinare del girone d’andata. Contenti loro, chi se ne importa, disse Ancelotti, mentre gli fregava la coppa sotto il naso. Ma noi, che francesi non siamo, possiamo immaginare un mondo diverso. Quello dove all’esagerazione contrapponiamo le idee. Si parla tanto (troppo) dei procuratori, come se il tanto potere non glielo avessimo dato noi (mi sento un presidente) in una modalità di sistema (ancora?) che non prevede l’organizzazione, ma il caos, dove tutti guadagnano su tutto e il risultato è la certezza che qualsiasi spesa, anche la più esagerata (vedi Ronaldo alla Juve) non conduca necessariamente alla vittoria.
Come vedete è un guazzabuglio di pensieri e di parentesi (scusate). Mentre, osservando il futuro, vedo bollette rotanti che girano sulla mia testa, e guerra e tasse. Ma poi guardo il calcio, così inevitabilmente uguale, con la sua palla e suoi giocatori, e penso che non esista nessuna cifra in grado di comprarmi la speranza che anch’io, seppure così sbagliato per questa ritrosia sui tanti soldi, possa un giorno vincere qualcosa.