A Mihajlovic non serviva il buonismo, ma i risultati (e al Bologna una nuova dirigenza)
È da anni che la proprietà rossoblù è convinta, in estate, di avere una squadra buona per lottare l'accesso alle coppe europee. È sempre andata male. Criticare la decisione della società perché l'allenatore è malato ha poco senso, come ha poco senso sperare in grandi risultati con questa presidenza
Il Bologna Football Club ha esonerato Sinisa Mihajlovic. Lo ha fatto perché tre pareggi e due sconfitte nelle prime cinque giornate di questa Serie A (contro Lazio, Verona, Milan, Salernitana e Spezia) sono strati giudicati risultati troppo modesti per un club che, almeno a sentire quello che diceva la dirigenza in estate, ambiva ad altro, a stare in altre zone di classifica.
Era mica semplice esonerare Sinisa Mihajlovic. Perché Sinisa Mihajlovic in questi anni è stato un allenatore ben voluto da tifosi e giocatori, ma anche perché è sempre complicato fare i conti, nel calcio e non solo, con una malattia come la leucemia. Si fatica sempre a scindere il professionista dall’uomo quando c’è la salute di mezzo, soprattutto in un calcio che cerca di rendere pulita e senza macchia la sua facciata piena di inclusione, pari opportunità e buoni sentimenti. Verrebbe quasi da stupirsi della scelta del presidente Joey Saputo e del resto della dirigenza, una decisione che li espone alle accuse di mancanza di umanità, di solidarietà, di valori.
Nell’esonero di Sinisa Mihajlovic si può vedere tutto questo, ma bisognerebbe concentrarsi parecchio per non vedere il resto. E il resto è una squadra che non vinceva più, che nell’ultimo anno ha vinto quattro volte, ha pareggiato tredici partite e ne ha perse dieci. Niente di straordinariamente negativo, l’evidenza numerica di un allenatore normale alla guida di una squadra poco più che sufficiente per organico e gioco. L’importante in tutto questo è essere consapevoli, vedere le cose per quelle che sono, essere d’accordo su ciò che si vuole fare, a cosa si vuole ambire. Ed è questo il problema che c’è sempre stato tra la proprietà e l’allenatore. Il secondo pensa di essere un tecnico di prima fascia perché è un motivatore di prima fascia, ma sa di non avere una squadra all’altezza per ambire a qualcosa di più che a una comoda salvezza. È uno fiero, Mihajlovic, ma realista. La seconda invece, la dirigenza, considera di avere creato una squadra da seconda fascia, capace di lottare per la qualificazione alle coppe, perché ha un blasone antico e negli anni ha speso in acquisti più soldi di quanti ne ha incassati in cessioni, perché crede di aver fatto buoni investimenti nel settore giovanile (ma i risultati non sono eccezionali nemmeno lì) e perché è convinta che gli ultimi arrivi siano parecchio forti, sicuramente abbastanza per puntare alla lotta per l’Europa e perché è riuscita a trattenere Marko Arnautovic.
È dall’ottobre del 2015, da quando ha ritrovato la Serie A con il Bologna (che aveva acquistato che era in Serie B l’anno prima), che Joey Saputo ritiene di aver dato al proprio allenatore una squadra buona per arrivare a giocare le coppe europee. Non c'è mai riuscito, non c’è mai nemmeno andato vicino, la squadra ha vivacchiato sempre a distanza di sicurezza dalla retrocessione, nient’altro. Lo ha fatto anche nelle ultime due stagioni con Mihajlovic.
È da anni che a Bologna le cose vanno diversamente dalle attese estive, che sono sempre abbastanza distanti dalla realtà. Nemmeno l’arrivo di un dirigente competente (quasi illuminato) come Giovanni Sartori, ha cambiato le cose: il mercato è stato al solito mesto, la volontà, esposta a giugno, di investire e di fare il salto di qualità non c’è stata. E quando è così, va sempre a finire che è più semplice cacciare l’allenatore che il presidente. Un allenatore che non è un mago, può far niente quando ha a che fare con un presidente che ha più alterigia che realismo.