Il Foglio sportivo
“Per Monza mio padre voleva una Ferrari speciale”. Parla Piero Ferrari
Il figlio del Drake: “Cominciava ad aprile a pensare a questo Gp. E non accettava rotture di motore”
Quella tra la Ferrari e Monza è una lunga storia d’amore. Una storia in cui c’è stato spazio anche per i fischi e la contestazione, ma che il più delle volte ha avuto un lieto fine con quell’invasione di bandiere ferrariste sotto uno dei podi più belli del campionato. Per Enzo Ferrari, Monza era l’appuntamento dell’anno. Cominciava a pensarci mesi e mesi prima. Tormentava i suoi tecnici perché si inventassero qualcosa per la gara di fine estate che spesso in quegli anni era anche decisiva per il campionato.
“Ad aprile-maggio cominciava a chiedere: per Monza che motore abbiamo? Che cosa ci inventiamo per Monza? Che novità abbiamo in arrivo per Monza? – ricorda Piero Ferrari che ha passato tante vigilie accanto al padre – Monza come quasi sempre e come quest’anno era a settembre… ma mio padre cominciava presto a pensarci… per quella gara era anche disposto ad investire qualcosa in più. Era il Gran premio in cui voleva dimostrare di essere competitivo e voleva cercare di vincere, anche se in realtà mio padre voleva vincere ogni gara”. A pochi minuti dal via del Gran premio del Centenario, poco dopo aver sentito Bocelli cantare l’inno di Mameli, un nuovo Airbus A350 di Ita Airways dedicato a Enzo Ferrari sorvolerà l’autodromo insieme alle Frecce Tricolori. “Sarà un’emozione in più. In quel momento guarderò il cielo invece di guardare le auto in pista”, racconta Piero che oggi è vice presidente dell’azienda fondata dal padre 75 anni fa e dove lavora un altro Enzo Ferrari, l’erede di sua figlia Antonella.
Monza era una delle poche piste dove Enzo Ferrari arrivava di persona. Si metteva alla guida di una delle sue auto, lasciava il fido autista (prima Peppino, poi Dino) al suo fianco e compariva a Monza. “Però non si fermava mai per il Gran premio. Andava per le prove, all’inizio anche quelle del sabato e poi solo quelle del venerdì. Tornava invece tornava a casa a vedere la gara in tv o, prima, a sentirla in radio aspettando la telefonata dei suoi tecnici ai quali magari ai box due giorni prima aveva fatto notare un tubicino montato male o un particolare che non lo lasciava tranquillo”. Piero ha visto decine di Gran premi d’Italia accanto al padre. “Mio padre ammetteva poche persone a Fiorano a vedere le gare. C’ero io, l’autista e qualche volta Gozzi. Ma bisognava stare in silenzio. Non accettava commenti. Potevamo parlare solo se ci interrogava”. Chissà che cosa avrebbe detto domenica scorsa quando la Ferrari di Sainz è rimasta su tre ruote. “Forse si sarebbe arrabbiato di più quando si sono rotti quei motori mentre stavamo vincendo. Lui quando saltava un motore andava su tutte le furie. Il motore per lui era il cuore delle auto e non accettava le rotture”.
La speranza di Piero è che per Monza la Scuderia si inventi qualcosa come è capitato spesso in passato. “Di Monza ho ricordi bellissimi, ma anche tragici. E poi alla fine degli anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta all’autodromo arrivarono anche a fischiare mio padre che da quella volta non tornò più in pista”. La prima volta di Piero a Monza è nel 1961. In tribuna, mischiato tra i tifosi e non ancora ai box. “Ero in tribuna centrale per seguire la corsa. Alla fine eravamo contenti perché Phil Hill aveva vinto e, grazie a quel successo, si era laureato campione del mondo. Attorno festeggiavano tutti perché non sapevamo ancora che cosa era accaduto all’inizio della gara alla Parabolica, dove von Trips era volato fuori pista in mezzo al pubblico, morendo e provocando una strage. Uscimmo dalla tribuna felici per il Mondiale, ma poi accesi la radio dell’auto e venni a sapere quello che era successo”.
Una gioia soffocata, portata via dalla tristezza. Fu diverso quando visse in pista i Mondiali di Lauda nel 1975 e di Scheckter quattro anni dopo. “Il giorno del Mondiale di Jody fu davvero emozionante… bello perché concludere il campionato a Monza oggi non succede più per il calendario… Oggi ci sono 22 gare tra un anno saranno forse 24… Ci fu un’invasione e ci dovemmo chiudere dentro un motorhome, il primo che avevamo alla Ferrari. Quando Jody venne giù dal podio mi abbracciò e gli dissi complimenti Jody sei campione del mondo. Ma lui mi disse: sì ma io mi sento come prima. Fu una sensazione particolare per un uomo vero. Aveva un traguardo e lo aveva raggiunto, era appagato, contento, ma la vita andava avanti… era una persona intelligente oltre che un grande pilota”.
Ed è rimasto un grande amico. Piero non era invece in pista nel 1988, l’anno del primo Gran premio d’Italia senza suo padre, l’anno della doppietta Berger-Alboreto dopo l’errore di Senna. “Mio padre se ne era andato da poco e non andai in pista anche se ci eravamo preparati come non mai per quella gara, sapevamo che era l’unica occasione per far bene in una stagione dominata dalla McLaren: ‘O la va o la spacca’, ci dicemmo prima della partenza per Monza. Ce la mettemmo tutta e andò bene, anzi benissimo. Ci fu un pizzico di fortuna, sotto forma di alcune circostanze che ci fecero pensare che da lassù qualcuno stesse guardando il Parco: almeno è bello pensare che sia andata proprio così!”. Ce ne sarebbe bisogno anche per questo Gran premio del Centenario. “Ce la metteremo tutta anche questa volta. La stagione era cominciata benissimo, mi ero illuso fosse l’anno buono. Quando dopo un cambio regolamentare ho visto alle prove auto così diverse ho detto qui qualcuno avrà dei problemi. Non noi… La nostra macchina fino a prima delle vacanze era velocissima. Poi… su che cosa possa essere successo ho una mia idea dopo 60 anni di gare, ma me lo tengo per me”.
“Tutti pensano che Monza sia solo rettilinei però ha anche due tre curve estremamente importanti come le due di Lesmo e la Variante Ascari. Una macchina per essere veloce deve avere il bilanciamento perfetto. Monza sembra facile ma non lo è. Speriamo di trovare l’assetto giusto”. Piero ha fiducia in Leclerc e Sainz. E anche in Binotto: “Ammetto di averlo raccomandato anch’io quando abbiamo dovuto pensare al dopo Arrivabene. È un bel segnale per l’azienda che un ragazzo arrivato da stagista salga fino a diventare il numero uno. Lui conosce la Ferrari, conosce la Formula 1”.
Altro non aggiunge. Non vuole interferire. Però su Leclerc si lascia andare: “Mi piace molto, è un ragazzo che ha qualcosa in più un po’ come Verstappen. Tra un campione e un fuoriclasse ci sono un paio di decimi di differenza. Charles credo li abbia. Un po’ come Schumacher. Qualche volta vincevano Massa, Barrichello e anche Irvine, ma lui aveva qualcosa in più che rivedo in Leclerc. Con Sainz che è molto costante, concreto, si completano. È giusto che una squadra sia così. Se non vince uno deve poter vincere l’altro”. Verrebbe da aggiungere “ridategli la macchina”. Ma questo Piero non lo dice anche se molto probabilmente lo pensa.