Il Foglio sportivo
La perfetta imperfezione di Remco Evenepoel
La Vuelta corsa sino a qui dal belga è, indipendentemente da come andrà a finire, una buona notizia per il ciclismo: ci sarà anche lui a lottare per le grandi corse a tappe dei prossimi anni
Era il 27 settembre del 2018 quando apparve evidente che qualcosa di per niente banale sarebbe accaduto nel ciclismo degli anni a venire. Fu allora, sulle strade tirolesi attorno a Innsbruck, che Remco Evenepoel dipinse, ruote e pedali su asfalto, il suo primo capolavoro di dominio internazionale. Era il Mondiale, categoria Junior, e la superiorità del belga fu talmente lampante da magnificare subito un futuro vincente, addirittura cannibalesco, che, in fin dei conti, se sei belga e vai forte – molto forte, dannatamente forte – è lì che si va sempre a parare.
Non si ponevano limiti allora al talento del belga. Perché quando ci si trova davanti un corridore che va forte in salita e a cronometro (aveva vinto anche la prova iridata contro il tempo Junior), che senza problemi recupera da solo il gruppo dopo essere rimasto attardato a causa di una caduta, poi chi si era avvantaggiato, e infine se ne sciroppa quasi quaranta in solitaria, risulta parecchio evidente che quel corridore di talento ciclistico ne ha parecchio. E quando le cose stanno così, partire per la tangente è un attimo. E la tangente conduceva a presupporre un dominio totale, quasi incontrastato.
La realtà, al solito, è parecchio più complessa degli scenari fantastici che crea la faciloneria nel tirar conclusioni affrettate. Anche perché la strada fin qui percorsa da Remco Evenepoel ha dimostrato che il ragazzo belga, ora ventiduenne, di limiti (pochi) ne ha. E lo ha dimostrato anche in questa Vuelta. Una Vuelta che Remco Evenepoel ha corso alla grande, che ne ha sancito il talento sopraffino, nella quale ha vinto a cronometro, ha vinto in cima a una salita, l'Alto del Piornal, ha pedalato a lungo in maglia rossa, quella del capoclassifica, e che con quella maglia rossa potrebbe, dovrebbe, arrivare domenica sino a Madrid.
Una gran prova di insieme, che ha rivelato però qualche piccola crepa. Nelle difficoltà che prova quando i chilometri in salita si sommano ad altri chilometri e superano ampiamente la decina; in quelle dove l'asfalto sale sino a sfiorare le nuvole e i metri dal mare superano i duemila; nelle discese tecniche, dove la bicicletta è domata con le incertezze di chi non è davvero a suo agio, di chi sa che non tutto è davvero sotto controllo. È mai semplice però dimenticare che proprio in discesa, giù dalla Colma di Sormano al Giro di Lombardia 2020, giù da un ponte in quel giorno di ferragosto, poteva finire la sua carriera.
È imperfetto Remco Evenepoel. Perfettamente imperfetto. E per questo appassionante. Perché a ventidue anni ha già capito in cosa gli altri sono superiori a lui, cosa gli manca per essere il dominatore senza macchia che gli era stato detto che sarebbe potuto diventare, dopo che la tangente era già stata presa.
Questa Vuelta ha reso evidenti i limiti di Remco Evenepoel, ma soprattutto ha certificato la sua dimensione di corridore non comune, di progetto in fase piuttosto avanzata di grandissimo protagonista – anche – nelle corse a tappe di tre settimane (ha già vinto due Klasikoa e una Liegi, tra le grandi corse di un giorno). Perché un dubbio ha fugato, e parecchio limpidamente, questa Vuelta: la terza settimana, quella che spesso ridimensiona anche i talenti più fulgidi del ciclismo, è per lui una normale prosecuzione delle altre due e non un muro contro il quale sbattere. Questione di gambe, ma non solo di gambe, anche di intelligenza ciclistica, quella che permette di capire prima cosa accadrà in gara e quindi prepararsi di conseguenza. E questo, tanto quanto il talento, è abilità che è difficile affinare, è qualcosa che viene naturale, quasi quanto il muovere i pedali.
È una gran bella notizia per il ciclismo la Vuelta corsa da Remco Evenepoel. E non tanto per quanto accaduto sulle strade di Spagna, che pur è stato appassionante a suo modo, la Vuelta ha sempre un modo tutto suo di appassionare. Soprattutto perché è un'altra conferma, alle tante che si sono susseguite da qualche anno a questa parte, che le prossime stagioni saranno una meravigliosa concatenazione di corse animate da protagonisti eccezionali, da corridori capaci di stravolgere attese e piani altrui. Ed era solo questo che noi appassionati di ciclismo attendavamo: una totale assenza di certezze, una lotta più o meno anarchica tra corridori incapaci di fare soltanto il compitino. Con i loro grandi talenti e i loro piccoli difetti. E viene una voglia matta di saltare l'inverno e rivederli tutti uno contro l'altro: Remco Evenepoel, Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard, Egan Bernal. Aspettando il salto di livello di Thomas Pidcock, Juan Ayuso, Carlos Rodriguez e la crescita di Tobias Halland Johannessen e Cian Uijtdebroeks – che come ha fatto notare lui stesso si pronuncia kian etebruks – e chissà chi altro di questa magnifica generazione di corridori cresciuti lì dove la bici è ritornata a invadere le città. Basta solo aspettare un po'. E nemmeno troppo.