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Nikola Jokic è un fenomenale orso pigro
Ai quarti di finale di questo Europeo di basket, l'Italia incontrerà la Serbia, guidata da uno dei più forti giocatori dell'Nba. Un fuoriclasse atipico tra lo zen e l'indolente
Fin qui è stato l'Europeo di Doncic e Antetokounmpo, extraterrestri da oltre 40 punti sul parquet. Il guaio per l'Italia, è che Nikola Jokic non ha ancora iniziato a fare sul serio. E lo incontrerà sulla sua strada già domenica, a Berlino, negli ottavi di finale del torneo, quanto pesa quel brutto inciampo contro l'Ucraina. Agli Azzurri non resta che disegnare la partita perfetta. Confidando che la Serbia si sciolga all'improvviso come accadde l'anno scorso a Belgrado (in palio le Olimpiadi, ma Jokic non c'era). E che il centro dei Denver Nuggets non smetta di vestire i panni dell'orso pigro, come gli rinfacciano da una vita. Anche se oggi è il cestista più pagato della storia (fresco di quinquennale da 270 milioni di dollari) e l'Mvp dell'Nba nelle ultime due stagioni regolari. Dunque, perché sperare?
La storia di Jokic è un intruglio di fadeaway e coca cola compulsiva, di giornate trascorse sul divano davanti ai cartoon più che in post basso, di assist illuminanti e feste di paese ritrovate (Sombor, il suo: bersaglio delle bombe della Nato quando Nikola, classe 1995, aveva 4 anni). Ben inteso: Jokic non è affatto un esempio di talento sprecato, semplicemente sa affinarlo alla sua maniera. Negli anni ha pagato un atteggiamento tra lo zen e l'indolente, da far ammattire famiglia e allenatori che lo volevano spremere in palestra. Al punto che da ragazzo aveva seriamente pensato di darsi all'ippica. Per autentica passione: cavalca sei mesi, sogna da fantino, poi il padre gli tira le orecchie e lo dirotta sotto canestro. Da lì non si muove più (ma l'hobby resta: oltre ai purosangue che possiede a casa, in una recente vacanza italiana ha perfino reso omaggio alla scuderia ferrarese che allevò il mitico Varenne).
Il fatto è che Jokic, sospinto dai suoi 2 metri e 11 di altezza sin dall'adolescenza, ha sempre praticato uno sport a sé. Senza mai smettere di divertirsi. Presto in tutta la Serbia si è iniziato a parlare di quel ragazzone con il fisico da vecchio pivot (chili in eccesso inclusi: fino a 136), le mani di seta e una visione di gioco inedita per il suo ruolo. Pazienza se appare svogliato nella fase di non possesso: con la palla in mano, l'aplomb si tramuta in millimetrica lettura di movimenti e passaggi al bacio sopra la testa. Ha il genio della grande tradizione balcanica, che va da Drazen Petrovic a Milos Teodosic. Racchiuso però in una lampada gigantesca, che spariglia ogni schema.
Per questo i Denver Nuggets hanno puntato tutto su di lui. Perdonandogli qualcosa: un pisolino fuori programma nella notte del draft Nba, estate 2014, la fama degli infortuni impossibili (ai tempi del Mega Vizura, suo primo club in Serbia, si dice che lamentò un problema al polso per aver firmato troppi autografi), la fame da abbuffate perenni. Ma la testa c'è. La scommessa è stravinta. Jokic non avrà mai l'atletismo di Giannis, eppure nel tempo è riuscito a limare il proprio fisico e ad alzare il livello in difesa, da sempre suo punto debole. Il resto è una macchina da tripla doppia, che gioca, fa giocare e divertire i palazzetti di tutta l'America. Se i Nuggets vogliono capitalizzare il loro fenomeno (ultimo investimento alla mano, l'intenzione sembra esserci tutta), dovranno trovargli dei compagni congeniali per puntare all'anello. Quanto spreco, altrimenti.
Intanto, la Nazionale. Dopo l'argento olimpico 2016, ora Jokic e la Serbia hanno un Europeo da vincere. Cinque successi su cinque nella fase a gironi, dove la squadra ha passeggiato e Nikola si è risparmiato (19,6 punti in 23,8 minuti di media). L'Italia non ha nessuno in grado di contenere "The Joker" (soprannome fonetico, ma anche rebus tattico). L'unico appiglio, è che pure Jokic potrebbe non trovarsi a suo agio in marcatura sull'ampia batteria di "piccoli" a disposizione di Pozzecco, baricentro basso e tanto da correre per starci dietro. O magari lui ce lo fa solo credere, ingannevole benevolenza del predatore. "Attacca il canestro come se ci fossero in palio dei biscotti al cioccolato", la formula magica del suo agente Misko Raznatovic per spronarlo nei momenti clou. Ecco. Nessuno avrebbe mai immaginato che la chimica del basket si avvicinasse a una molecola di glucosio. Poi è arrivato Jokic. E in fondo, cos'è il canestro se non una grande ciambella.