Il Monza è senile e triste. Una cosa che deve risultare insopportabile al Cav.
Il mercato del Monza sembra essere stato condotto assecondando i gusti di un ipotetico elettorato borghese over 60. Forse la squadra è l'ennesimo esperimento di eterna giovinezza intentato da Berlusconi a colpi di milioni di euro, in spregio alla realtà e al contemporaneo
Il Monza è la squadra più senile del campionato. Non ci riferiamo banalmente all'età del suo presidente né del suo fedele compagno di avventure da oltre quarant'anni: il calcio ringiovanisce e in queste ore non staranno nella pelle, al pensiero che domenica pomeriggio il Monza ospiterà la Juventus per la prima volta nella storia della serie A. Non ci riferiamo nemmeno all'ultimo posto, certamente malinconico nonostante il primo punto finalmente conquistato ieri, nello scontro-salvezza del Via del Mare. Non è neanche questione di età anagrafica: nessuno degli undici titolari di Lecce superava i trent'anni e in rosa ci sono giovani di sicuro talento come Pessina, Rovella, Birindelli, Dany Mota. Non è il cosa, ma il come. È l'idea.
Il Monza è triste ed è questa la cosa che deve risultare più insopportabile al suo giulivo proprietario, che difatti non manca occasione per squadernare l'intero armamentario del ghe-pensi-mi da imprenditore dell'hinterland quale egli in effetti è stato, è e sempre sarà. Senilità, appunto. Partiamo dal mercato, faraonico per trattarsi di una neopromossa: tredici acquisti italiani su sedici, con diversi cartellini pagati sull'unghia anche grazie all'escamotage dell'obbligo di riscatto. Qualità tricolore, in alcuni casi addirittura puro artigianato brianzolo come nel caso dell'enfant du pays Pessina, campione d'Europa ben felice di tornare all'ovile. Il Monza ricorda lo spot di uno di quei poltronifici in cui un attempato testimonial esalta l'affidabilità del made in Italy: solo che dopo sei giornate sei ultimo e a Lecce, contro una squadra di multi-etnici sconosciuti, per sgraffignare il punticino hai dovuto aggrapparti al portiere Di Gregorio e soprattutto alla sciagurata direzione arbitrale della coppia Pairetto-Di Martino. È a questo punto istruttivo un confronto con l'altra “piccola” che quest'estate ha dimostrato disponibilità economiche fuori scala, ovvero la Salernitana di Iervolino che sembra aver condotto un mercato davvero intelligente, alternando i serbatoi da cui attingere: l'usato sicuro alla Piatek, l'italiano in ascesa alla Maggiore, difensori di poco nome e poca spesa ma affidabili come Bronn, non sottovalutando il tema della forza fisica a centrocampo indispensabile per reggere l'urto della serie A senza salvarsi col fiatone come l'anno scorso.Il mercato del Monza, invece, sembra essere stato condotto più assecondando i gusti di un vago e ipotetico elettorato borghese over 60: è probabilmente un caso, ma è curiosa la quasi totale assenza di calciatori di origine africana – caratteristica condivisa con la Lazio di Lotito, anche lui candidato con Forza Italia nell'imminente tornata elettorale.
Insomma il Monza è mesto, mette tristezza, ha un allenatore che a sua volta non sprizza gioia di vivere anche perché è dead man walking dalla prima giornata, circondato da uno stormo di avvoltoi – tutti molto interessati alle disponibilità economiche del Monza – prima ancora che iniziasse il campionato. Pur non avendo mai espresso grosse qualità da allenatore di serie A, Giovannino Stroppa ha il merito di aver centrato la promozione, ma forse è un compito troppo improbo trovare rapidamente la quadra in un gruppo rinnovato nei due terzi della rosa e comunque scoperto in alcuni settori, come la penuria di incontristi che espone la squadra a tracolli verticali col passare dei minuti, com'è successo nelle ultime due partite contro Atalanta e Lecce, dove il minuto Sensi – una volta regista di pregio – possiede ormai un'autonomia fisica da calcetto del giovedì. Così, per effetto di tutti questi anacronismi, con questo gioco un po' ottusamente sbilanciato com'è successo a Roma dove Dybala e Abraham sono andati a nozze, il Monza risulta paradossalmente affascinante come una retrospettiva di Dino Risi, una camera da letto con la carta da parati, un'anticaglia da anni Settanta, un'utopia del Novecento superata dal tempo e dal Decreto Crescita, che rende molto più vantaggioso – purtroppo – imbottirsi di stranieri. Forse, scendendo al cuore delle cose, è l'ennesimo esperimento di eterna giovinezza intentato da Berlusconi a colpi di milioni di euro, in spregio alla realtà e al contemporaneo.
Ultimo doveroso paragrafo riservato alle brutture arbitrali della coppia Luca Pairetto-Antonio Di Martino – perché quando gli arbitri sbagliano, e in questo week end non ci siamo fatti mancare niente, è giusto indicarli con il nome e cognome per non cadere nella lagna qualunquista del “sono tutti scarsi”, che è come dire che i politici sono tutti ladri. Luca Pairetto da Nichelino, figlio d'arte alla seconda presenza stagionale in serie A dopo il colossale abbaglio di Spezia-Lazio dello scorso aprile, e Antonio Di Martino da Teramo, dismesso lo scorso 1° luglio dalla CAN per “motivate valutazioni tecniche” (citiamo dalla nota ufficiale diramata dall'ANSA) e retrocesso – o promosso? - a “varista” anche di serie A. Chi è abituato a minimizzare l'impatto degli errori arbitrali sulle partite, suole argomentare non senza ragione che nel calcio si sbaglia tutti, gli arbitri come i calciatori come gli allenatori. Benissimo: gli allenatori che sbagliano vengono esonerati, i calciatori che sbagliano vengono mandati in panchina, ed è dunque il tempo che anche i vertici dell'AIA – in omaggio alla trasparenza che vanno ventilando da mesi e di cui ancora non si nota traccia alcuna – rendano noti provvedimenti e sospensioni per chi si macchia di errori che con il mezzo tecnologico sono sinceramente inaccettabili.