Massimiliano Allegri (Ansa) 

Il calcio è semplice

I "ma" sono finiti. Cos'altro si inventerà adesso Allegri?

Ruggiero Montenegro

"Gioca male, ma vince", oggi non basta. Ancora una volta, nella sconfitta di ieri contro il Benfica, la Juventus è stata incapace di attaccare e pure di difendere. Gli alibi sono finiti: l'allenatore livornese deve svoltare e in fretta, mentre sono sempre di più i tifosi che ne chiedono l'esonero. E l'ad Arrivabene ci scherza (per ora)

“L'unica cosa che bisogna fare è stare zitti e lavorare”. Questa volta anche l'allenatore dalla battuta facile ha capito che non era proprio il caso di scherzare, che la risata – dopo aver perso la prima e seconda partita di Champions, non era mai successo nella storia della Juve - sarebbe stato il peggiore dei rifugi, aggravando una posizione già complicata. 

Perché é vero, ci sono le assenze e giocare ogni tre giorni pesa. È vero anche che domenica scorsa il Var c'ha messo lo zampino. Ma se contro il Benfica vai sotto a mezz'ora dalla fine, la tua squadra si abbassa ancor più di prima, e il migliore in campo è il portiere, insieme ai centrali di difesa, allora gli alibi stanno a zero. I fischi finali - “ce li meritiamo”, come ha detto capitan Bonucci – sono la sintesi migliore del momento. Non richiedono ulteriori spiegazioni e descrivono bene il sentimento dei tifosi bianconeri, che non salvano nessuno, ma sopratuttto se la prendono con l'allenatore. #Allegriout spopola intanto su Twitter, e forse inizia a fare capolino nei pensieri anche altrove.

Questa volta Max Allegri dovrà inventarsene di nuove, quei “ma” che hanno messo in secondo piano la bellezza del gioco, in nome dei risultati sono finiti. Ieri sera a Torino, un'altra volta, non si è visto uno straccio di schema in attacco. E non se ne sono visti neppure in difesa, quello che un tempo era il suo marchio di fabbrica. La solidità.

Gioca male quel Milan, ma è tornato a vincere lo scudetto dopo 7 anni, ha interrotto l'egemonia dell'Inter, si diceva nel 2011-2012. Allegri sa come si fa. Un mantra tornato buono negli ultimi anni della prima esperienza in bianconero quando, dopo i primi anni di vittorie e un'idea di gioco se non entusiasmante quantomeno chiara, sono rimasti solo i trofei. Un “ma” decisamente valido, che infatti ne ha garantito la panchina anche al netto delle scoppole europee, ricevute non proprio dalle prime delle classe. È lo stesso “ma” che in fondo ha guidato i ragionamenti di Agnelli anche all'inizio della scorsa stagione, nel richiamare l'uomo dei cinque scudetti di fila e delle due finali di Champions. Era l'anno della rifondazione, con Cristiano Ronaldo venduto a poche ore dalla fine del mercato e sostituito con Kean. Anche questa in fondo era una giustificazione di ferro, e infatti la qualificazione in Champions ottenuta con relativa tranquilità, ha rimandato il giudizio su Allegri.

 

Solo che rifondazione avrebbe dovuto fare rima con nuovo corso, e magari con qualche idea fresca di cui al momento non c'è traccia. Allegri in conferenza stampa non parla mai di gioco, piuttosto si spazientisce quando gli pongono la questione. Sono cambiati gli interpreti ma la sostanza è la stessa: una squadra che sembra incapace di attaccare con continuità ed è pure incapace di difendere, nonostante il baricentro basso di allegriana costituzione. "Ci sono le categorie", direbbe l'allenatore. Ma negli ultimi minuti della partita di ieri, quando c'era da cercare il pareggio, troppe volte gli attaccanti bianconeri si sono trovati soli in attacco, circondati da maglie rosse - tre contro sette/otto. In compenso, i lusitani sprecavano gol a raffica, risparmiando allo Stadium un imbarazzo peggiore. Non è sembrata questione di categorie.

 

I "ma" insomma non bastano più, sono finiti. Toccherà ad Allegri, se ancora si ricorda come si fa, pensare qualcosa di nuovo e in fretta. A partire magari dall'atteggiamento, dalla capacità di reagire all'imprevisto sfortunato. Un tempo la Juve di Max vinceva le partite al 95esimo, in partita "fino alla fine", appunto. Adesso sembra impotente, in balìa degli eventi. "Non mi sento a rischio", dice l'allenatore livornese, ma è probabilmente il primo a sapere che serve una sveglia e pure in fretta, prima che oltre alla qualificazione Champions sia compromesso il campionato. Hanno cominciato ad accorgersene anche ai piani alti: in altre occasioni simili, era stato lo stesso presidente Agnelli - che pure non è esente dalle responsabilità, ma anzi - a metterci la faccia dopo una prestazione del genere. Di ieri invece restano le parole dell'amministratore delegato della Juventus. "Poi lo paghi tu quello che viene?, risponde Maurizio Arrivabene a un tifoso, che prima della partita gli chiedeva dell'esonero di Allegri in caso di sconfitta. Una battuta, che a risentirla il giorno dopo sa un po' di rivelazione. Lo stesso dirigente ha poi chiarito, definendo "grottesco" il caso montato sulle sue dichiarazioni. Eppure lo scambio svela l'insofferenza dei tifosi e in fondo pure lo stato della società. Dopotutto "il calcio è semplice", ma questa volta per Allegri lo è un po' di meno. 

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