Il Foglio sportivo
Julieta, il segreto di Sofia Raffaeli
L’allenatrice: “Lo chiamiamo impegno, non sacrificio: amiamo questo sport”
Julieta Cantaluppi ha un potere: prende sotto la sua ala una bambina con la passione per la ginnastica ritmica e ne fa un capolavoro. C’è la sua regia di allenatrice dietro la cascata di ori di Sofia Raffaeli ai Mondiali 2022, come dietro l’argento iridato al nastro 2018 dell’altra sua allieva Milena Baldassarri, numero 5 al mondo. Due medaglie, due record: prima di Sofia, l’Italia non aveva mai avuto una campionessa del mondo; prima di Milena, non ci era mai andata così vicino.
Da quando non è più ginnasta, il suo mestiere, insieme alla madre Kristina Ghiurova, è “plasmare” talenti: fare loro da guida, mental coach, angelo custode.
La sette volte campionessa italiana – primato imbattuto – porta il nome della nonna, Julieta Shishmanova, gigante della ritmica bulgara. Morì in un incidente aereo nel 1978, una tragedia che, in Bulgaria, è paragonabile a quella del Grande Torino. La figlia Kristina vinceva i Mondiali di Londra alla fune nel ’79. Julieta nasceva nell’85. “Non è facile fare lo stesso mestiere dell’allenatrice bulgara più grande di tutti i tempi”, dice con orgoglio. “Forse con questa medaglia mia nonna sarà contenta di me. Non l’ho mai conosciuta ma in tanti mi parlano di lei ed è come se me la restituissero un po’”.
L’amore per la ritmica, nella sua famiglia, è una favola antica che si tramanda da generazioni. Lei lo sta passando a Sofia Raffaeli e Milena Baldassarri: allena entrambe e sono le migliori ginnaste italiane. Come si costruisce un fuoriclasse?
“Non credo ci sia un metodo vero e proprio. È un’evoluzione continua, si cresce insieme. Da atleta ho imparato molto da mia madre che mi allenava, ma anche da tecnici bulgari, russi, azeri. La ginnastica più bella è mista, con più fonti di ispirazione e stili diversi. Il mio approccio è sempre stato aperto e internazionale. Anche adesso rubo con gli occhi ai colleghi per capire come si rapportano alle ginnaste”.
Cosa pensa di aver dato alle sue allieve più talentuose?
“A tutte cerco di insegnare la disciplina, quel qualcosa che aiuta le ginnaste a convogliare il talento sui binari giusti, per non deragliare. Il talento da solo non basta. Con una predisposizione naturale puoi aspirare al Mondiale; senza disciplina non arrivi neanche in pedana. Sofia e Milena sanno cosa voglio in palestra. Credo di aver insegnato loro la serietà professionale. Cerco di coltivare in loro il rispetto per gli altri e per se stesse, che vuol dire soprattutto fare sempre del proprio meglio”.
In pratica il valore del sacrificio.
“Sacrificio è una parola che non mi piace. Preferisco ‘impegno’: è il minimo per quello che facciamo e amiamo fare. Se tutti si impegnassero di più nel proprio lavoro il mondo sarebbe migliore”.
Cosa vi dite prima di una gara?
“Ricordo loro di divertirsi, di pensare che sono in pedana perché è bello. Le guardo e intuisco come si sentono. A volte mi basta un loro movimento per capire cosa pensano, come stanno. Provo a interagire nel modo più adatto: cerco le parole giuste per aiutarle, a seconda del momento e della persona, perché alla fine è più l’allenatore che si adatta all’atleta. Ma questo è tutto: in gara il resto deve farlo la ginnasta, tu puoi solo aspettare. È bello avere un rapporto simbiotico con loro, ma è anche difficile: a volte sei tu ad avere bisogno di sostegno e lo cerchi negli amici allenatori. Ai Mondiali mi è stato molto accanto il team israeliano; quando Sofia mi guardava ero una roccia, poi magari mi sentivo morire, ma mi lasciavo andare solo quando si girava dall’altra parte”.
La neocampionessa del mondo, Sofia Raffaeli, è cresciuta con lei. Com’è iniziata questa favola?
“Con una spaccata, un ponte e un relevé, durante un provino a casa sua. Io e la mamma di Sofia, che voleva iscriverla a ritmica, avevamo un’amica in comune; ci ha messe in contatto e sono andata a conoscere la bambina. Aveva 6 anni e mezzo: era il 2011, stavo per lasciare la ginnastica ma allenavo già. Era graziosa, simpatica, piccola; fisicamente come tante ma con una marcia in più: ascoltava, era coordinata, intelligente. ‘Sentiva’ i movimenti che faceva e questo lasciava intuire ottime doti interpretative. Le ho insegnato subito le cose più difficili perché più si cresce, più si ha paura di lanciarsi. Lei, per esempio, temeva i movimenti con la schiena. Ora è una perfezionista. Abbiamo lavorato su questo: deve capire che, anche con qualche errore o sbavatura, può gestire la gara, fare bene, recuperare. I Mondiali li ha decisamente gestiti”.
Meglio vincere da ginnasta o da allenatrice?
“Penso che la gioia sia la stessa. Sono felice per Sofia come lo sarei per me. O forse no. Forse, per Sofia, lo sono ancora di più”.