Il Foglio sportivo
Ramondino, non è una sorpresa. L'intervista
Alla scoperta del coach di Tortona, rivelazione dell’anno scorso: “Quest’anno la nostra asticella è salita ancora di più” “Noi allenatori dobbiamo cambiare il modo di insegnare: i giovani hanno meno attenzione”
Se in un campionato dove allenano Ettore Messina e Sergio Scariolo, tu sei il coach della squadra sorpresa dell’anno, fai un pieno d’orgoglio che potrebbe bastare per farti volare senza razzi sulla luna. Marco Ramondino però non si accontenta. Non lo ha mai fatto da quando ad Avellino ha cominciato a frequentare la palestra della Scandone, una società dove ha fatto di tutto. Dalle pulizie ai fax, dal giocatore di minibasket all’allenatore. Avellino è il punto di partenza, essere l’allenatore della Bertram Tortona, la neopromossa che è diventata la rivelazione della scorsa stagione (finale di Coppa Italia, semifinale di playoff) non è il punto d’arrivo perché lui Tortona la vuole portare in Europa inseguendo il sogno di Beniamino Gavio, l’uomo che i sogni li sa realizzare, come dimostra la nuova cittadella dello sport che sta nascendo con vista sull’Autostrada Milano-Genova. Il basket italiano, deluso, ma anche rassicurato dall’Europeo finito senza medaglie, sta per cominciare la sua stagione con la Supercoppa italiana, mercoledì a Brescia. Tortona contro Sassari e poi Milano contro Bologna per la Bertram, profondamente rinnovata, è il primo test affrontato senza l’etichetta della squadra sorpresa. Ormai la tengono d’occhio tutti.
“Io come stazza sono grosso, ma camminare lungo la stessa linea laterale con due coach così grandi come Scariolo e Messina mi ha fatto sentire davvero piccolissimo, però ho già vinto un campionato e una coppa, mi mancano solo una trentina di vittorie per essere al loro livello”. Marco Ramondino ci scherza su, ma gli fa un certo effetto ritrovarsi di fronte a due degli allenatori che sono stati i suoi punti di riferimento da quando ha deciso di sedersi in panchina. Li chiama ancora coach Messina e coach Scariolo. Il rispetto si sente anche attraverso la linea telefonica. “Loro hanno cominciato a vincere quando io dovevo ancora cominciare ad allenare. Sono due allenatori che a fine carriera entreranno nella Hall of Fame di Springfield e due punti di riferimento per tutti”.
Per lui, ragazzo di Avellino, avvicinatosi al basket perché era sovrappeso e la mamma lo portò in palestra a smaltire un po’ di ciccia, il punto di riferimento assoluto, nella pallacanestro e non solo, è Andrea Capobianco, campano come lui e il primo a dargli fiducia. “Come giocatore sono arrivato fino ai cadetti. Avevo una buona mano, ma solo perché non correvo troppo…”, ricorda senza nostalgia. La pallacanestro lo ha conquistato e oggi occupa la maggior parte della sua vita che si divide tra basket e famiglia. “La famiglia, mia moglie, i due figli, sono un equilibratore fondamentale per non lasciarti abbattere quando le cose vanno male, ma anche per farti restare con i piedi per terra in caso contrario”.
Ramondino è un allenatore che ha fatto la gavetta (Avellino, Salerno, Jesi, Teramo e Bologna da vice) prima di diventare capo allenatore (Verona, Casale e dal 2018 Tortona). È partito da lontano e ha trovato a Tortona la sua terra promessa in una società che ha in Gavio la sua anima e nel presidente Marco Picchi e nell’ad Ferencz Batocci i suoi uomini chiave. Ha guidato il Derthona alla promozione in A1 e a diventare la rivelazione dell’anno da neopromossa. Ha scritto il suo nome sull’agenda di chi non lo conosceva, ha avuto la fiducia di un presidente appassionato e ambizioso come Gavio che ha messo uno dei suoi marchi (Bertram Yacht) sulla maglia e ha avviato i lavori per una Cittadella dello sport con palestra da 5 mila posti e la voglia di arrivare in Europa.
“Ogni anno l’asticella sale, ma è giusto che sia così, nello sport, non solo nel basket, non ci si può fermare. Attorno a te c’è sempre chi lavora per migliorarsi e se tu ti fermi, ti sorpassano. So che quest’anno tutti ci aspetteranno al varco, ma già dopo la prima parte della scorsa stagione, Tortona che era una neopromossa veniva guardata in modo differente. Ci sono due tipi di aspettativa, quella sul risultato che è difficilmente controllabile perché ci sono tantissimi fattori che intervengono e poi c’è l’aspettativa sul lavoro e sulle prestazioni e su questo dobbiamo lavorare mettendo un’asticella molto alta perché lavorare molto bene, lavorare meglio, lavorare in maniera intelligente poi ci porta a ottenere i risultati sul campo”. Quei risultati che poi nello sport decidono il futuro di un allenatore. Il paragone con lo scorso anno è scomodo. Fare meglio è un’impresa impossibile che neppure Tom Cruise.
“Focalizzarci su dove saremo a fine stagione o su dove saremo tra dieci partite credo che sia il modo perfetto per poi fallire. Dobbiamo focalizzarci sull’oggi e fare un passettino alla volta nella direzione giusta”. La squadra è cambiata molto, ha aggiunto centimetri, peso, qualità: “Quest’anno siamo cambiati molto nella testa, ci sono giocatori che dovranno diventare leader. Abbiamo cercato di alzare il potenziale fisico e atletico della squadra, ma l’obbiettivo è di mantenere la nostra identità sia dal punto di vista tecnico che dell’atteggiamento. Dobbiamo fare in modo che le nuove qualità si aggiungano a quelle che avevamo, non le sostituiscano”. Tortona vuole continuare a giocare quel basket che Ramondino chiama “caciarone”. Con giocatori che si passano la palla in attacco e si sbattono in difesa. Giocatori disposti a sacrificare le loro cifre per il bene della squadra. Partite affrontate a viso aperto seguendo linee guida più che veri e propri schemi.
Ramondino è anche l’allenatore dell’under 23 azzurra, ha sotto gli occhi la meglio gioventù del nostro basket. “I giocatori ci sono, ma oggi abbiamo a che fare con generazioni di atleti diverse da quelle di quando ho cominciato. Per noi allenatori è arrivato il momento di ritararci, di capire qual è il modo migliore di allenare questa nuova generazione di ragazzi che ha una soglia di attenzione che si è abbassata tantissimo e oggi è stata calcolata in 12 secondi. Se oggi spiegassi gli esercizi come vent’anni fa, la gente nel frattempo si addormenterebbe… Dobbiamo cambiare il modo di arrivare al loro orecchio. È un discorso che vale sia a livello giovanile che di prima squadra. Per ottenere un miglioramento sul campo dobbiamo trovare il modo di entrare nella testa”. Ramondino ogni tanto ci prova anche con il dialetto. L’anno scorso qualche sua uscita ha fatto il giro del web come quando l’anno scorso a JP Macura ha detto "Sí capac è fà sul? O t serv à badante?" (Sei capace di farcela da solo? O ti serve la badante?). Tutto serve, senza arrivare a trasformare i minuti di sospensione in un Natale a Casa Cupiello.
Oggi un allenatore ha mille canali per aggiornarsi e studiare. Basta digitare su Google basketball clinic e trovi di tutto. Ma a Ramondino piace anche toccare con mano. Ha seguito da vicino Messina, Trinchieri, Obradovic non solo per apprenderne i segreti tecnici, ma per capire il loro rapporto con i giocatori, il loro modo di stare in palestra. All’Europeo, dove un allenatore italiano come Scariolo ha fatto la differenza con le sue invenzioni, non si è perso una partita: “Ho visto tante cose interessanti, anche la nostra Nazionale ha proposto delle idee di gioco, delle soluzioni per i tiratori facendo arrivare la palla in post basso e poi da lì trovare i tiratori che uscivano dai blocchi. L’Italia mi è piaciuta e la cosa incoraggiante è che è cresciuta nel corso della manifestazione, cosa che indica la bontà del gruppo e come l’ambiente sia sano”. Ma quanto conta un allenatore? Per Pozzecco l’importante è che non faccia danni. “L’allenatore è uno strumento per aiutare i giocatori a raggiungere le loro potenzialità”, commenta Ramondino. “Il nostro ruolo è questo. Certo non possiamo sopperire alla qualità dei giocatori o crederci più importanti. D’altra parte lo dicono anche le regole: una partita senza giocatori non la puoi fare, senza allenatore invece la giochi”. Magari la giochi peggio, ma la giochi.