Wollongong 2022
Mondiali di ciclismo. Remco Evenepoel è Houdini
Il belga vince il Mondiale con un'azione solitaria iniziata al penultimo giro. Una fuga solitaria lì dove il grande illusionista perfezionò l'arte dell'escapologia. Secondo è Laporte, terzo Matthews. Peccato per Lorenzo Rota, gran corsa la sua
Sino a qualche anno fa probabilmente non avremmo messo la sveglia alle cinque, forse prima, per vedere il Mondiale di ciclismo. L’avremmo impostata qualche ora dopo, tanto il canovaccio era ogni più o meno simile: fuga-inseguimento-qualche scattino-scatti veri e via fino all’arrivo. Il meglio era tutto concentrato negli ultimi due giri. Era un gran bel spettacolo comunque, ci si annoiava mai, ci si annoia mai quando ci sono le corse.
Sono anni questi che la sveglia serve metterla prima. Si sa mai ora cosa può succedere, e quando questo può accadere. Spesso prima, e meglio, di quello che possiamo immaginare o sperare. Il godimento è amplificato per intensità e durata. Pesa mica alzarsi presto. Anche perché ci si immaginava che qualcosa potesse, dovesse, accadere. Ci saremmo mica stupiti di vedere un Pogacar o un Evenepoel o un van der Poel (protagonista sì, ma di un alterco con dei ragazzini che facevano casino la notte e di ore in commissariato) o un van Aert soli davanti a tutti a settanta chilometri dal traguardo.
C’era nessuno di loro solo davanti a settanta chilometri dal traguardo. O meglio, c’era Remco Evenepoel, ma assieme ad atri.
S’era deciso parecchio a settantasei chilometri dall’arrivo, solo che non lo sapevamo, anche se lo potevamo intuire. Il belga s’era infilato nel gruppetto che l’attacco di Quentin Pacher (che era messo parecchio male alla Vuelta) fatto in modo di scalpellare da quello principale. S’era infilato con un manipolo di gregari (Serry, Hermans, Dewulf), gente tosta, e una ventina di corridori, molti dei quali non avrebbero sfigurato in un podio mondiale (Hindley, Bardet, Sénéchal, Lutsenko, Tratnik) che non sfigurerebbero negli anni futuri (Schmid, Tulett) e che forse, è possibile, che su parecchi podi saliranno (Skjelmose).
Remco Evenepoel era lì e la sensazione è che stesse aspettando solo il momento giusto, voleva fare una sorta di riedizione del suo Mondiale Junior, quello del 2018. Non che se fosse stato buono nel frattempo. Aveva fatto qualche scatto, ma solo per dare una smossa agli altri, per dire loro, forza su che quelli dietro altrimenti rientrano e se seguite me quanto meno una medaglia la prendete. Sottointendeva: argento e bronzo.
Aspetta la salita, pensavano tutti attorno a lui, la salita del penultimo giro, s’erano convinti. Era mica così. Remco Evenepoel fa le cose a sensazione, non come andrebbero fatte. E la sensazione, anzi il sentimento, l’ha avuta sul piano. Un allungo, ancor prima del penultimo passaggio sotto il traguardo. Un allungo che era un apparizione, un epifania di quello che sarebbe arrivato dopo: la solitudine del giovane Remco.
S’è deciso quasi tutto a trentasei e questo volta lo sapevamo. Poi definitivamente qualche chilometro dopo e lì divenne evidente. Anche perché Remco Evenepoel era rimasto solo, c’era nemmeno più Alexey Lutsenko al suo fianco. C’era più nessuno. Solo Remco Evenepoel e quel suo modo di correre che prevede, preferisce, l’assenza di corridori al suo fianco.
Poteva essere altrimenti. Nel 1896 Harry Houdini, che al tempo era già un’illusionista professionista ma mica troppo apprezzato, si presentò a Wollongong per chiedere udienza a uno dei più grandi farabutti d’Australia, tal Jules Eeppertelt: un magnaccia mezzo olandese e mezzo francese, che s’era ricostruito una vita convincendo tutti che era un santone. Era stato un mago in Europa, uno tra i primi escapologi. Poi aveva ammazzato due prostitute della dozzina che gestiva, e aveva spostato l’attività in Australia. Houdini a Wollongong iniziò a imparare l’arte dell’escapologia.
Arte che Evenepoel conosce benissimo, che ha messo in pratica già alla Liegi-Bastogne-Liegi e (due volte) alla Klasicoa. Arte che però aveva bisogno di un nuovo proscenio, uno che gli permettesse di rimarcarlo, renderlo evidente e a lungo. C’è niente di meglio di una maglia iridata per questo.
Sotto il traguardo di Wollongong, Remco Evenepoel è passato per primo e con margine abbastanza ampio da lasciare il tempo di assistere al suo personalissimo spettacolo da soliloquista teatrale. Un margine talmente ampio da dare la possibilità al telespettatore di assistere anche allo spettacolo tragicomico di Lorenzo Rota, Mattias Skjelmose, Alexey Lutsenko e Mauro Schmid che pur di non fare quarto, si studiano, rallentano, si controllano, attendono il momento giusto per impostare la volata. Solo che lo fanno troppo a lungo, prima Pascal Eenkhoorn (che ha provato il colpo alla van Vleuten), poi Jan Tratnik e poi tutto il gruppo rientrano e tolgono loro tutto. Peccato. Se lo sarebbero meritato. Nell'albo d'oro rimarranno i nomi di Christophe Laporte, secondo, e Michael Matthews, terzo.
Una medaglia se la sarebbe meritata soprattutto Lorenzo Rota, che questo Mondiale lo ha corso bene, da protagonista, sempre davanti e sempre pronto a sfruttare l’occasione. Ne ha perse due su due, ma tant’è, sono dettagli che non lo tolgono tra i grandi protagonisti di oggi. Come protagonista è stata la Nazionale di Bennati. Quello che doveva fare l’ha fatto. Davanti gli Azzurri c’erano sempre. Samuele Battistella ha dimostrato di essere un presente pronto a farsi futuro, pure vincente. In squadra non c’erano fenomeni, ma gente seria e tosta. Un po’ cattivello è stato chi sosteneva fosse la Nazionale più scarsa di sempre. Non era così, capita di sbagliarsi, a volte scusarsi sarebbe però un bel gesto.
Il Foglio sportivo - In corpore sano