Il Foglio sportivo
Piacere, sono Tommaso Pobega, quasi laureato in economia
Il centrocampista del Milan si racconta “Mi manca solo un esame. Il calcio in tv mi annoia, preferisco cucinare un risotto”
Tommaso Pobega ci accoglie con un sorriso all’ingresso della mitica sala del biliardo di Milanello, quella dove sono passati tutti i grandi della storia rossonera. Alle sue spalle, appese alla parete, due immagini. Raffigurano il successo rossonero del 2003 a Manchester in Champions League contro la Juventus e la vittoria in Supercoppa contro il Siviglia nel 2007. “Mi metto qui che magari porta bene...” sussurra compiaciuto. Ragazzo umile, educato e di sani principi Tommaso. La passione più grande fin da bambino è stata quella per il basket, condizionato forse dalla passione del fratello maggiore, che amava sfidare ovunque, persino nel salotto di casa con la palla di spugna, tra le grida di mamma Elena.
Solo più tardi, trascinato da alcuni compagni di scuola, ha voluto provare qualcosa di nuovo. “Ho sempre avuto un rapporto particolare con il calcio. Tutto è iniziato sul campo di Melara, la società si chiamava San Luigi, ho fatto una prova, prima dell’eventuale tesseramento. Non cominciai benissimo, tutti correvano, io presi il primo pallone che avevo davanti, lo portai avanti qualche metro e calciai in porta con tutta la forza possibile. Presi in faccia il mio allenatore Nicola Lombardi. Ancora oggi mi scrive e ci ridiamo su...”. Il destino gli ha riservato però un posto da predestinato. Altezza, agilità, forza fisica e quell’irrefrenabile volontà di non accontentarsi mai e migliorarsi ogni giorno di più, anche grazie a chi ha saputo valorizzare l’aspetto umano oltre che sportivo. “Non ho mai mollato. Quando ti ritrovi in un convitto di cinquanta ragazzi sconosciuti non è facile. Di persone, compagni e allenatori ne ho incontrati parecchi. Gattuso è stato straordinario per la mia crescita. Mi ha trattato fin dal primo giorno da uomo. Concedeva parecchia libertà a tutto il gruppo, anche nelle uscite serali, ma con regole ben delineate. Avevamo molta responsabilità e stava a noi dimostrare maturità e diligenza. Vi assicuro che quando si incazzava per qualcosa era spaventoso, gli occhi erano indiavolati, avevamo paura in spogliatoio, ricordo che nessuno parlava più dopo le sue grida, silenzio totale”.
Un insegnamento prezioso quello di “Ringhio”, che gli ha permesso di non soffermarsi solo sul pallone, ma di guardare oltre nella vita, anche grazie allo studio e alla cucina, il passatempo perfetto tra una partita di Champions e una seduta di scarico. “Non guardo il calcio in tv, anche perché mi annoia. Fuori dal campo mi concentro su altro. Mi manca un esame alla laurea triennale in Economia Aziendale, ho già iniziato a scrivere la tesi sulla “Corporate social responsibility”, curo molto anche le lingue straniere. Da sempre, lo studio, è stato il mio piano B, il mondo del calcio è troppo variabile, non hai sicurezze, specie in Italia. Oggi ci sei, ma domani... La cucina è la mia seconda grande passione. Se non avessi fatto il calciatore, chissà… Mi rilassa preparare i risotti di tutti i tipi, frutti di mare, funghi, salsiccia e zafferano. Sono una buona forchetta, anche sui dolci, se non avessi una dieta ferrea da seguire prima di scendere in campo a San Siro, sarebbe dura vincere”. Il Meazza, nonostante le presenze con la maglia rossonera in stagione siano solo cinque, è casa sua. Solo pochi anni fa le finali con le giovanili, oggi c’è tanto altro. Non solo “Pioli is on fire” in sottofondo a rendere ancor più intensa un’atmosfera dal sapore unico, ma i colori, le voci e l’amore di una tifoseria, innamorata della sua storia. “Io quando entro a San Siro ho ancora oggi i brividi. Nello spogliatoio spesso sentiamo i tifosi gridare i nostri nomi in tutto lo stadio. Da ragazzino mi è capito di giocare a San Siro, in qualche occasione speciale. Ascoltavo la musica per stemperare la tensione in pullman. Prima di entrare in spogliatoio mettevo ad alto volume “Lose yourself” di Eminem, oggi mi piacciano i grandi classici italiani e alcuni brani di Marracash”. E sul futuro delle “milanesi” lontano da San Siro aggiunge: “È giusto che avvenga un’evoluzione, guardiamo avanti. L’obiettivo è il nuovo stadio. Io non vedo l’ora di vincere nella nuova Casa del Milan, vicino alla nostra gente, per scrivere pagine importanti di questa società”.
Tommaso Pobega, nonostante i suoi 23 anni, ha le idee chiare sul proprio futuro. C’è ovviamente spazio anche per i colori azzurri, un’opportunità concessa da Roberto Mancini, che intravede in lui e in Sandro Tonali, il cervello del centrocampo della Nazionale. “Da calciatore, penso spesso alla vittoria di un Mondiale. La Nazionale unisce chiunque, anche i meno interessati allo sport, fa gruppo e resta indelebile nella storia del tuo paese. Nel Mondiale 2006 avevo 7 anni, ricordo tutto. Mi vergogno a dirlo, ma all’epoca mi piaceva la Germania, ero ammirato da Schweinsteiger, una qualità impressionante…” Oggi, a distanza, di tanti anni, si ammira ancora un calciatore, come quando si è bambini? “Nello spogliatoio del Milan ci sono diversi campioni. Allenarsi con loro ogni giorno è un privilegio, imparo tanto. Io sono rimasto impressionato dalle potenzialità di Maignan, dà una sicurezza fondamentale al reparto, sono pochi come lui, è un tipo da Nba”.
Il basket americano, la sua grande passione, tanto che alla domanda “un altro gol in Champions o rivivere la finale Cleveland-Warrios?” risponde “Finals, con una birra in mano”. Davvero un tipo fuori dal comune.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA