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gran calma #8

Serie A ragiona fuori dal paradigma elettorale

Enrico Veronese

La Juventus è ritornata alla vittoria ma i dubbi rimangono. E mentre l'Inter perde ancora, nelle prime posizioni rimane la Lazio, che nessuno le accredita mai fiducia a inizio campionato, ma è sempre lì, solida e vincente

I risultati della 8a giornata di Serie A

Napoli-Torino 3-1 (6° 12° Anguissa, 37° Kvaratskhelia, 44° Sanabria)
Inter-Roma 1-2 (30° Dimarco, 39° Dybala, 75° Smalling)
Empoli-Milan 1-3 (79° Rebic, 92° Bajrami, 93° Ballo Toure, 96° Leao)

Lazio-Spezia 4-0 (12° Zaccagni, 24° Romagnoli, 61° 91° Milinkovic-Savic)
Lecce-Cremonese 1-1 (19° Ciofani, 42° Strefezza)
Sampdoria-Monza 0-3 (11° Pessina, 67° Caprari, 95° Sensi)
Sassuolo-Salernitana 5-0 (12° Laurienté, 39° Pinamonti, 53° Thorstvedt, 76° Harroui, 92° Antiste)
Atalanta-Fiorentina 1-0 (59° Lookman)
Juventus-Bologna 3-0 (10° Kostic, 5° Vlahovic, 62° Milik)

Verona-Udinese 1-2 (23° Doig, 70° Beto, 93° Bijol)

 

La classifica dopo l'8a giornata di Serie A

Napoli e Atalanta 20; Udinese 19; Lazio e Milan 17; Roma 16; Juventus 13; Sassuolo e Inter 12; Torino 10; Fiorentina 9; Spezia 8; Lecce, Salernitana, Empoli e Monza 7; Bologna 6; Hellas Verona 5; Cremonese 3; Sampdoria 2.

  

Perché funzionano più i babbioni innovatori che i virgulti conservatori

Ragionare fuori dal paradigma elettorale è possibile. Così si scopre che, nel campionato italiano di Serie A, a osare – e guadagnarci – è chi avrebbe tutto da perdere: storia, reputazione, ingaggi. Mourinho non sa chi lasciar fuori in attacco a San Siro, e non se la sente di arretrare Pellegrini? Pronto Abraham in panchina, e prima punta affidata a Dybala (lo è, lo sarebbe, per quanto fuori dal postulato della stazza) che lo ripaga con un gol dei suoi. Chebelgiocatore, basta e avanza per la Serie A e sistemare l’HJK Helsinki. Gasperini, poi, sa fare a meno di qualche santo santorum anche a costo di difendersi a quattro: dal suo cilindro spunta sempre qualcosa o qualcuno, bentornato Muriel a questi livelli. Per contro, i giovani integralisti monoschema magari riscuotono simpatia – Spezia, Lecce, Cremonese – e giocano pure bene, ma sperano di sfangarla cambiando il meno possibile alle prime burrasche. Certo, Gotti ha avuto coraggio nel piazzare il ricercatissimo Kiwior a tutta sinistra, dopo essere stato mediano frangiflutti e regista difensivo, ma per stavolta non gli è andata bene (vuoi salvarti schierando Ampadu e Caldara? Chiedi a Venezia e saprai come si fa). Eccezioni? Il Monza dei nazionabili Sensi, Pessina e Caprari doveva solo trovare il suo schema, Dionisi fa sbocciare Laurienté e Thorstvedt, ma sempre nelle loro caselle. Intanto l’Udinese, gran calma, è la stessa da un anno e conferma la regola.

 

Perché alla Juve credere è bene, non credere è meglio

Non sono stati pochi, domenica sera, i tifosi juventini che hanno preferito andare al cinema anziché temere di rodersi il fegato con la prestazione dei bianconeri. E mangiarsi le mani al rientro, vedendo concretizzarsi un 3-0 che apparentemente non ammette repliche: le due punte a segno assieme, Kostić unchained, McKennie in risalita, centrocampo tonico, difesa ermetica col ritrovato Bonucci e Bremer sempre più in confidenza con le differenti mansioni. C’è già la gara, si legge, a non dare Madama per morta, a fare scalette e calendari premondiali per l’aggancio alla vetta (come se davanti rallentassero per concessione divina), a trovare l’alba dentro l’imbrunire quale appiglio alle proprie ipotesi deduttive. Ecco, no: il fatto che la Juve goda comunque di qualche individualità di rilievo, capace di decidere la partita da sola, non cancella il torpore di Monza, i nervosismi, i soldi mal spesi (o troppo spesi), la cronica assenza di un’idea di squadra e di gioco da applicare con le altre grandi e con le piccole. Se Allegri si copre con il più elementare dei 4-4-2 – e il texano, bravo incursore, all’ala grida comunque vendetta – non è detto che lo farà alla prossima, alla Scala del calcio di fronte ai campioni d’Italia. Perciò, gran calma a considerare risorta questa Juve, e a presagirle continuità: una rondine non fa primavera, tanto meno ad ottobre.

 

Perché il baricentro del campionato si sposta verso Roma, anche se ancora non sembra

Cambiano gli allenatori, invecchiano gli interpreti, ma la Lazio è sempre lì. Pochi, a ogni inizio di campionato, la accreditano di qualcosa più che la difficile lotta per l’Europa League: eppure, a fari spenti, viaggia con solidità difensiva e attacco a spron battuto. La differenza, finché Lotito non si deciderà alla rivoluzione, la sta facendo Sergej Milinković Savić, libero di muoversi per il campo come meglio crede e di trovare la giocata. Anche se il 4-0 contro lo Spezia è bugiardo nelle proporzioni, il campionato dovrà fare ancora i conti con Sarri. E con Mourinho: l’entusiasmo è un propellente formidabile per una piazza che da troppo tempo soffre, ne aumenta la convinzione e moltiplica gli effetti. Per questo, derogando alla gran calma, ci si può sbilanciare e dire che il vero duello sarà Milan-Roma, nonostante i rossoneri (Calabria perdita durissima, con Florenzi già fuori e la coperta corta in mezzo) siano in deficit di 5 punti rispetto a un anno fa. Di quattro, incredibilmente, l’osannato Napoli, sempre in vetta provvisoria con l’Atalanta che domenica calerà a Udine. Dove tutto sta girando senza intoppi: la bellezza tecnica del gol di Beto è pari alla vis polemica nei confronti di Andrea Sottil, che l’ha lasciato inizialmente in panchina, e non per la prima volta. Per dire l’importanza dei cambi: il portoghese e Samardzić hanno stravolto le sorti di una gara dove l’Hellas si è trovata sulle gambe dopo un’ora. Vincere così, oltre il 90esimo, implica starci con la testa, e le rimonte sono il primo sintomo di gran calma.

 

Perché si aprono scommesse: quale sarà il trend della prossima giornata di campionato?

Dopo le sostituzioni anticipate, addirittura prima della fine del primo tempo, per ammonizioni o bocciature, lo scorso weekend ha rivelato il trucco del fallo laterale. Ovvero Atalanta e Milan, più di altre, hanno sfruttato simultaneamente la regola che tiene in gioco l’attaccante, anche lungo la linea di fondo, in caso di rimessa laterale con le mani: Muriel e Leão, velocisti preclari, non si sono fatti pregare e hanno colto di sorpresa i centrali avversari, scodellando in mezzo rispettivamente per Lookman e Rebić, ai quali è bastato spingere in rete e scardinare difese fin lì arcigne. Una norma che evidentemente c’è sempre stata, ma – a memoria – mai come lo scorso sabato e domenica è stata applicata in maniera tanto proficua, e sicuramente provata più volte in allenamento. C’è da pensare che ora si aggiungeranno in tanti, facilitando le contromosse e rendendo prima o poi vano il trick: nei laboratori della Serie A è quasi l’ora di pensare a nuovi effetti speciali, ma per almeno un paio di domeniche è imperativo l’occhio alle spalle.

 

Perché Marco Giampaolo non può essere quello appena esonerato (a ragione)

C’era una volta un giovane allenatore abruzzese, nato nel Canton Ticino, che studiava calcio in modo maniacale, cercando di applicarlo poi in campo. Piaceva giocare col trequartista, a Marco Giampaolo, e i risultati in cadetteria lo traghettarono prima ad Empoli, dove si potevano seguire le tracce di ottimi predecessori, quindi a Genova blucerchiata, ansiosa di tornare dove la recente nobiltà le compete. A Marassi il mister si ritrova con il crack Bruno Fernandes e il primo Schick, Quagliarella on fire e l’eredità di Mihajlović da consolidare: la sua Doria 2016-17 è bella da vedere ed efficace per i tre punti, gli avvicendamenti in rosa negli anni successivi spostano di poco il quadro. Ecco quindi la chance al Milan in metamorfosi, fallita come pure il tentativo di rilancio al Torino. Poco meno di un anno fa, la seconda volta alla Samp, per riscaldare una minestra utile almeno a salvarsi dopo i rischi con d’Aversa: peccato che la società sia stata lasciata nel marasma, non può far spese nel mercato e attende il salvatore, meglio se della nidiata scudetto’91. Intanto Giampaolo affonda: si inventa un improbabile 4-1-4-1, manda in campo il poco che gli passa il convento e piange due miseri pareggi in extremis. Ora paga per tutti, ed è giusto: ma che ne è stato di quel giovane tecnico che faceva apprezzare il suo calcio brillante e fantasioso? Gran calma, quando – e se, dato il potere venefico dei meme – gli verrà riaffidata una panchina forse potrà dimostrarlo ancora. Intanto la curva doriana, che domenica ha cantato e saltato anche sotto di tre reti, merita qualcosa di più rispetto a molti dei nomi che stanno girando.

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