Il segreto del Sassuolo. Intervista ad Alessio Dionisi
“Diamo il tempo di sbagliare. E applaudiamo gli infortunati che rientrano”. Parla l'allenatore dei neroverdi
Ad Alessio Dionisi gli almanacchi non devono piacere granché. Il suo Sassuolo, la scorsa stagione, è stata la prima squadra in 66 anni a vincere sul campo di Inter, Milan e Juventus nel medesimo campionato. “Bello, ma questo è il passato”, dice lui oggi, quasi insofferente per un record tanto ingombrante. “Noi lavoriamo affinché ciò possa riaccadere. Anzi: a Torino ora abbiamo già giocato e perso. Quindi enigma risolto”. Sono altre le partite che gasano l’allenatore neroverde: “Quelle dense di prestazione”. E mentre ricorda le sue preferite al Foglio sportivo, gli scorre davanti la sua giovane carriera. Tutta d’un fiato. “Parto da lontano: Borgosesia-Cuneo, primavera 2017”, la promozione in Serie C accarezzata fino al 93esimo. “Poi Fiorenzuola-Imolese”, un 4-1 che fu il biglietto da visita per approdare tra i professionisti, proprio alla guida dei rossoblù. “Quindi a Imola i playoff contro il Monza”, e via a Venezia, in Serie B. “Lì cito la trasferta di Perugia, nell’ultima giornata di un complicato girone d’andata: chissà come sarebbe finita, se non avessimo vinto quella gara”.
A volte è questione di dettagli. Altre, gira tutto a meraviglia. “Empoli. Una lunga cavalcata fino alla promozione in Serie A, in casa contro il Cosenza”. Ed eccoci a Sassuolo, 2022. “Forse la gratificazione più grande è stata battere l’Atalanta: si parla solo di chi alza trofei, ma per il loro percorso in questo decennio i nerazzurri per me hanno vinto tutto. Averli sorpresi sul piano del gioco”, finì 2-1 con doppietta di Traoré e tardivo gol di Muriel, “è stato il coronamento del nostro progetto. Poi l’obiettivo rimane il lungo periodo. E così siamo ripartiti in estate”.
Rinnovati, ringiovaniti. Nonostante qualche addio eccellente. “Adesso mi chiederai di Raspadori”. Per forza. “Può soltanto rendere orgoglioso il Sassuolo e chi ci lavora: Giacomo si è formato qui da bambino, ha fatto vedere quanto vale e sapevamo che prima o poi sarebbe partito. La speranza era che rimanesse con noi un altro anno, ma certe opportunità vanno colte. Ora ha tutto quel che si merita”. Napoli e la Nazionale. Gol da antologia in Champions e Nations League. “È solo all’inizio, ma è già un ometto”, garantisce Dionisi, con finto distacco paterno. “Più che per i complimenti, con i miei ragazzi tendo a farmi vivo quando serve un appoggio. Ma Raspadori ha un atteggiamento eccezionale”. Aneddoti? “Una volta a La Spezia decisi di non farlo partire dall’inizio, confidando nel suo contributo a gara in corso: partita tosta, andiamo sotto di due gol, lui entra e fa doppietta”. Un 2000, trascinatore alla prima stagione da titolare. “Poi in primavera lo provo nel ruolo di prima punta, dopo un intero campionato tra le linee. Gli parlo e cerco di capire come si sente: ‘Mister’, mi sorride, ‘avevo più dubbi quando mi avevi messo trequartista!’. Eppure non ce l’aveva mai fatto pesare. Limitandosi a lavorare duro ogni giorno, convinto dei propri mezzi tecnici e mentali. Mica ce ne sono tanti, di giocatori così”.
Anche per questo non sarà facile ripetere l’undicesimo posto della passata stagione. “Un privilegio per tutti: tre attaccanti del Sassuolo a rappresentare l’Italia, quando ricapiterà?”. Oggi se n’è andato pure Scamacca. Mentre Berardi è infortunato. “Ma Pinamonti spero sia il prossimo: ha qualità importanti per ambire all’azzurro”. Sarebbe ossigeno, per una Nazionale a corto di nuove leve. “Se ne ho parlato con Mancini? È venuto a farci visita negli ultimi mesi, più che altro per sondare i convocabili”. Si sa che la coperta è corta. “Il numero di italiani nel nostro campionato si sta riducendo sempre di più, per quanto i bravi trovino spazio in Europa. Noi confidiamo di avere diversi ragazzi attrezzati: se meritano di giocare lo faranno. Ai giovani si deve dare la possibilità di sbagliare”. Predica nel deserto, di questi tempi. “Spesso non viene concesso questo diritto. Il sistema calcio porta pressione e ansia di risultati immediati: un circolo vizioso che alla fine si ripercuote sul percorso di crescita delle nuove generazioni. Qui a Sassuolo invece le incoraggiamo. Sperando di sbagliare poco, ecco”.
I neroverdi stanno vivendo la loro decima Serie A consecutiva. Mai retrocessi nella loro storia, outsider perenne nel segno degli allenatori in rampa di lancio: da Di Francesco a Dionisi, passando per De Zerbi. Modello di sviluppo sempre più assodato. “Il filo conduttore? La società”, spiega l’ultimo discendente. “Dirigenza, rosa e addetti ai lavori: tutto deriva da anni di pianificazione. Dal rispetto dei ruoli e dalla valorizzazione delle persone. Oggi nel mondo del lavoro intravedo ovunque una competizione accanita, talvolta sleale. Si dà per scontato che i professionisti siano tutti impeccabili. Ma non è così. Qui a Sassuolo invece il lato umano è preponderante. E gratifica tutti”. Da quest’anno nello staff c’è anche Francesco Magnanelli, primatista di presenze (520) e fresco di ritiro. “Io per primo l’ho voluto con noi: ha un’esperienza unica con questa maglia, ne incarna i valori ed è un esempio trainante per i giovani”. Insieme a un’altra bandiera, ancora issata. “Già: Sassuolo non conosce la Serie A senza Berardi. Su di lui ho già detto tutto. Lo aspettiamo e intanto chi gioca al suo posto ha la chance di mettersi in mostra”.
Laurienté, Alvarez, Antiste. Il sonoro 5-0 alla Salernitana è sinonimo di leggerezza e divertimento. “Confermarsi non è mai scontato e non lo sarà neanche quest’anno”, la prudenza di Dionisi. “Ma sapete chi mi sta colpendo di più? I veterani, di cui si parla sempre poco: Pegolo, Consigli, Ferrari, Obiang, Defrel”. L’allenatore ci tiene a elencarli uno per uno. “Sassuolo è una realtà importante, ma anche il comune più piccolo della Serie A: le motivazioni bisogna scavarle dentro di sé. Quindi chi è qui da tempo ha il compito delicato di trasmetterle ai nuovi arrivati. Che poi magari si prendono la scena”, un gol alla volta. “Ma se ci riescono, è merito del lavoro occulto dei più esperti”.
Dionisi nutre un rispetto innato per la gavetta. “Potrebbe essere altrimenti?”. In effetti: dalla D alla A in cinque anni. “Non allenavo fra i dilettanti con l’ambizione di arrivare quassù in così poco tempo”, ammette lui, “anche perché da calciatore mica ho avuto un passato da Serie A. Perciò piedi per terra e lavorare: ora non mi sento inadeguato, ma la differenza la fanno i giocatori a mia disposizione. Serve anche una buona dose di fortuna, oltre ai meriti e ai risultati. Tutte le componenti fin qui mi hanno sorriso”. Intanto il suo Sassuolo fa bel gioco. Punta ad aggredire le partite, paziente possesso palla e superiorità fra le linee. Secondo un’impronta ben precisa. Eppure, la guida tecnica resta talmente umile che alla voce ‘modelli’ non cita gli abusati Klopp o Guardiola. Ma “Stefano Vecchi: un profilo unico”, che allenava Alessio ai tempi del Tritium (2009-11) e ora siede sulla panchina della FeralpiSalò. “Il punto fermo nel nostro mestiere è la credibilità, che non deve mai venire meno. Poi l’assumersi le responsabilità degli insuccessi: bisogna trasmettere ai ragazzi di essere sempre con loro. E che le proprie scelte sono per il bene del gruppo, al di sopra di ogni pregiudizio”. Dionisi ci riesce, secondo un personalissimo carisma gentile. “Quando parlo non ho la presunzione di convincere gli altri, ma difficilmente cambio opinione”. La squadra ideale? “Quella che non specula mai sul risultato. Ritengo che un calcio propositivo esalti i singoli. E che i singoli, imparando a conoscersi sul campo, rafforzino il rendimento collettivo”.
Così la filosofia dell’allenatore abbraccia spontanea quella del Sassuolo. Oltre il triplice fischio: a 42 anni Alessio è appena tornato “a fare il papà di una neonata dopo 14. E i miei hobby sono gli affetti. Quando esco dal centro sportivo, se non ceno a casa con moglie e bimbe è per stare con gli amici. In questo senso i neroverdi aiutano”. Calcio a conduzione familiare. “Non faremo il pienone allo stadio, ma accogliamo i nostri tifosi per un brindisi con la squadra: persiste una convivialità d’altri tempi”. Anche fra i giocatori. “L’identità Sassuolo? Ve la dico in un giro di campo. Al primo giorno di allenamento, Obiang e Marchizza rientravano da due importanti infortuni: tutti i compagni li hanno accolti con un applauso. Lungo, sentitissimo. Questo vale più di ogni risultato”. A sua volta, l’intera Serie A continua ad applaudire verso il Mapei Stadium.