Foto LaPresse

il foglio sportivo

L'unica certezza di Milan-Juventus è che Allegri è la bestia nera di Pioli

Giuseppe Pastore

In 19 confronti il tecnico rossonero non ha mai battuto il rivale. La Juve è in ripresa dopo un momento orribile, il Milan viene da una pesante sconfitta in Champions League

Se conosciamo un po’ Massimiliano Allegri, nel suo primo quinquennio dorato alla Juventus una sconfitta dev’essergli risultata particolarmente fastidiosa: la Supercoppa italiana 2016, persa a Doha ai rigori contro un Milan di gran lunga inferiore, a fine stagione staccato di 28 punti. Quella partita girò con l’infortunio di Alex Sandro, sostituito poco dopo la mezz’ora da un declinante Evra: la fascia sinistra della Juve coincideva con la fascia destra del Milan là dove imperversava Suso, piuttosto ispirato in quei mesi, che fece trascorrere al vecchio Pat novanta minuti d’inferno (supplementari compresi), scodellando l’assist per il gol di Bonaventura e saltandolo almeno una decina di volte (andiamo a memoria) sempre con la stessa finta. A un tattico raffinatissimo come Max, essere messo in scacco da Suso – non esattamente Bruno Conti – non deve aver fatto molto piacere visto che, dalla volta successiva e poi in tutte le occasioni che affrontò i rossoneri, progettò il raddoppio sistematico sullo spagnolo, unica fonte di gioco di quel Milan male in arnese. Così Suso fece la fine del topo e nei sei successivi incontri tra campionato e Coppa Italia – tutti vinti dalla Juventus con un parziale di 15 gol a 3 – non gli riuscì più nemmeno un mezzo assist. A margine, la Supercoppa del 2016 fu l’ultima delle 82 partite di Evra alla Juventus.

 

Questa lunga digressione ci è tornata in mente pensando al modo in cui Allegri sta preparando Milan-Juventus e sta immaginando il trattamento da riservare a Rafa Leao. I tempi sono cambiati, il Milan non arriva più 28 punti dietro e del resto anche Leao ha un bagaglio tecnico e atletico ben più fornito di Suso, nel frattempo immalinconito in Andalusia nella triste stagione del Siviglia. Nelle notti insonni vegliate al lume del rancore verso chi lo vuole già licenziato o addirittura dimissionario, Allegri leviga e smeriglia le sbarre della gabbia in cui ha studiato di rinchiudere il formidabile portoghese, che l’anno scorso – nel tristissimo 0-0 del 23 gennaio in cui una Juve ancora pre-Vlahovic si accontentò del punticino senza mai tirare in porta – fu annullato da una melodiosa sinfonia di lucchetti e catenacci, con i raddoppi sistematici di Cuadrado e Locatelli ad alleviare i patimenti di De Sciglio. Ma anche all’andata, un 1-1 a Torino di piccolo cabotaggio, Leao non era mai riuscito a scatenarsi nei suoi strappi dirompenti: appena un anno fa il portoghese faticava ancora a mantenere le stesse frequenze sui 90 minuti e non di rado Pioli lo levava dal campo a metà ripresa, ma per ragioni ben diverse da quelle per cui ha abbandonato il campo di Stamford Bridge mercoledì sera, il vero segnale della spugna gettata dal Milan.

 

Stiamo speculando troppo? D’altra parte è questa l’immagine che ormai Allegri ama proiettare di sé, snobbando con ironico distacco la prospettiva di fare l'artigiano h24 per costruire una squadra vincente, propositiva e soprattutto bella a vedersi, adeguata ai canoni estetici in continuo movimento del calcio europeo. Lo diverte molto di più l'idea della recita a soggetto, ancora meglio se nelle grandi sfide, nei grandi stadi, davanti alle grandi platee, dove allungando l'orecchio si sente ancora il rumore della Juventus. In questo modesto avvio di stagione, i due scorci migliori si sono visti nel secondo tempo di Parigi e nell’unico scontro diretto in campionato, i primi 60 minuti contro la Roma: naturale pensare che nella mente di Allegri la squadra in ripresa vista contro Bologna e Maccabi Haifa possa essere affinata e appuntita proprio per il primo viaggio a San Siro dove l'anno scorso – in tre partite contro Inter e Milan – la Juve offrì per tre volte la stessa versione, schierando i famosi sacchi di sabbia vicino alla finestra.

 

O forse hanno ragione gli altri, i detrattori a oltranza, chi dice che l’Allegri-bis è già al capolinea e se non è stato ancora esonerato è perché costa troppo (non è una tesi peregrina: tra una risata e l’altra, l’aveva sostenuta en plein air lo stesso ad Arrivabene). Contro un Milan reduce dai tre brucianti schiaffoni londinesi, la partita di sabato potrebbe avere l’effetto di una palla demolitrice verso la Juventus, come la sfera d’acciaio che in “Prova d'Orchestra” di Fellini devasta improvvisamente la sala prove di una compagnia musicale litigiosa e scalcagnata, per di più priva del primo violino Di Maria. Tutto può essere: ci limitiamo a sottolineare una statistica abnorme per questo calcio di continui rimestamenti, quella che vuole Stefano Pioli mai vincente in 19 precedenti contro Allegri (14 sconfitte e 5 pareggi, tra cui i due dello scorso campionato). Almeno a livello di Serie A, non esistono tracce di uno “zero su venti”: quello ad andarci più vicino era stato Emiliano Mondonico mai vincente in 18 confronti contro Fabio Capello, che però aveva sempre allenato squadroni molto più forti. Gli allenatori tendono sempre a sminuire queste coincidenze, proclamando che la differenza la fa la gente in campo e non quella seduta in panchina: ma se c’è un elemento che può insinuare il tarlo del dubbio in questo Milan ottimista, dialetticamente impermeabile anche agli sberloni europei, e invece ringalluzzire una Juve che fatichiamo a giudicare risorta anche dopo due vittorie consecutive, quest’elemento è la cabala. Il ghigno di Allegri che accompagnerà la mossa a sorpresa che quasi certamente metterà sul tavolo di San Siro (Miretti titolare? Milik e Vlahovic insieme? McKennie incursore con il silenziatore a punire le ripetute amnesie difensive del Milan?) può essere il bluff estremo e disperato di una stagione già alle comiche finali, come sembrava dopo Monza, oppure la ritrovata verve di un lupo di mare che, dopo un’altra delle sue solite partenze controllate, sta iniziando a raccapezzarsi. Se dopo 50 partite d'astinenza persino il riluttante Rabiot ha segnato una doppietta, capirete che con questa Juventus non si può dare nulla per scontato.

Di più su questi argomenti: