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fine carriera

Tanysha Dissanayake ha detto basta con il tennis (causa long-Covid)

Luca Roberto

Storia della 21enne britannica, incapace di tornare ad allenarsi dopo aver contratto il virus nel luglio 2021. "Amo questo sport ma il mio è un addio"

Tanysha Dissanayake non è mai stata una tennista particolarmente forte. E questa che stiamo per raccontare non è una storia edificante, un monito per chi dopo due anni e mezzo sottovaluta ancora il modo in cui la pandemia ha scompaginato delle vite. Semplicemente, è una storia. Quella di una ragazza di 21 anni che dopo averne dedicati 16 a svegliarsi presto, allenarsi con pioggia sole vento, viaggiare per il mondo, a un certo punto dice basta e smette di fare la cosa che ha occupato la gran parte delle sue giornate finora. Enough is enough.

 

 

Lo ha scritto lei stessa sui suoi profili social. "Si chiudono qui i 16 anni più belli della mia vita. Questo sport mi ha reso la persona che sono oggi. E' stato un viaggio folle e lo rifarei di nuovo se potessi, ma dopo un anno di malessere fisico, credo che sia arrivato il momento di passare oltre". E' il punto in cui si cerca di riassumere in breve il motivo per cui ne stiamo scrivendo. Dissanayake, britannica, nel luglio 2021 ha contratto il Covid-19, in una forma lieve. Raffreddore, un po' di affaticamento. Aspettava che passassero i canonici sette-dieci giorni per riprendere a svolgere una vita ordinaria, ma da quel momento non è mai più tornata in campo, neanche per un singolo allenamento, per colpire una pallina lanciatagli dal suo allenatore dopo averla raccolta dal cestino.

 

Non solo. Nessuna componente della sua vita ha preso a somigliare a quanto facesse prima. A marzo, intervistata da Sky Sport Uk, ha spiegato come si svolgono le sue giornate. "Per la maggior parte di quest'anno sono rimasta completamente allettata. Questa mattina non ho fatto praticamente niente. Un amico è passato a trovarmi a casa qualche settimana fa e dopo mi sono dovuta riposare per cinque giorni di fila". Impossibile conciliare questo invalidante senso di stanchezza e spossatezza con l'impegno fisico richiesto dal tennis professionistico. L'auspicio era che d'un tratto sparisse l'abbiocco perenne in cui si trovava immersa, per fare di nuovo spazio alla prenotazione dei voli che l'avrebbero portata a calcare i soliti palcoscenici della periferia dell'impero.

 

L'ultimo torneo a livello professionistico Dissanayake l'ha giocato a Heraklion, in Grecia, un mese prima di contrarre il virus. Ha perso 6-4 6-2 al primo turno contro una tal Ellie Logotheti, sconosciuta a qualsiasi nicchia di appassionati della racchetta. Non esistono immagini dell'incontro, va da sè. Ma ce la immaginiamo attraversare il campo per andare a stringere la mano all'avversaria pensando: "Sarà per la prossima, mi rifarò". E invece quell'ultimo colpo, sapendo come andava a finire, magari lo avrebbe giocato in maniera diversa, più solenne, con quella strana mistura di imbarazzo e cerimoniosità che le avrebbe fatto ricordare il modo in cui si era congedata dalla sua passione. Ma senza troppe formalità: parliamo sempre di una ragazza che è stata al massimo 1.000 al mondo, mica di Chris Evert o Billie Jean King.

   

C'è stato un momento, sempre quest'anno, in cui nella sua stessa condizione longcovidica s'era trovata un'altra tennista minore scozzese, Maia Lumsden. Anche lei lontana dai campi per oltre 18 mesi, nella primavera di quest'anno era ancora incerta se sarebbe riuscita a giocare di nuovo. Poi la si è vista persino a Wimbledon, impegnata nel doppio. E il suo profilo Instagram sprizza contentezza per i tornei vinti, gli allenamenti a cui è tornata come si torna nei panni pescati dalla propria adolescenza. Ieri ha postato un cuore spezzato per l'amica e compagna di destino, meno fortunata di lei. Che nel frattempo aveva avuto già modo di dire: "Amo il tennis ma da parte mia è un addio". 

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