Il Foglio sportivo
Il Napoli non può nascondere la sua grande bellezza
I segreti e i numeri fantastici di una squadra in cui nessuno credeva e ancora oggi è vista come una meteora
È più facile fare sei gol all’Ajax, poi batterlo di nuovo, farne quattro al Liverpool, vincere in casa del Milan campione d’Italia, guidare il girone di Champions a punteggio pieno, essere primi in Serie A, mettere in fila nove vittorie consecutive tra Italia e Europa, che finire in prima pagina, guadagnarsi un’apertura, sentire che intorno parlano di te, non di quegli altri, chiunque siano gli altri. Cioè, è più difficile per il Napoli trovare celebrazioni di questo pezzo di stagione trionfale, che mettere in fila prestazioni da maghi e numeri da giganti.
Nel cono d’ombra mediatico in cui la squadra si trova si producono grandi imprese, si gioca un calcio bellissimo da vedere e pure assai funzionale, perché se conti i punti scopri che, ovunque stia giocando, ne ha più di tutti. E non va esclusa la possibilità che tutto accada proprio per questo. Accade, cioè, perché mentre le altre, in assenza di risultati, si affannano nella ricerca del consenso popolare, chi è partito in deficit di consenso popolare (il Napoli ha iniziato la stagione tra lo scetticismo anche dei suoi tifosi) va alla ricerca dei risultati. Accade perché a un certo punto ti hanno dato più spazio del solito, e non lo volevi: in assenza di titoloni sul calciomercato ti hanno accostato la perenne infelicità di Cristiano Ronaldo, a caccia di una nuova destinazione, ma qualcuno ha risposto “no, grazie. Abbiamo Kvaratskhelia” e magari il resto si è dato di gomito, ha ghignato, domandandosi come si scrivesse il cognome di questo attaccante senza fare copia-incolla da internet. E poi, quando l’estate ha iniziato a mettere in mostra i numeri del ragazzo georgiano, per farne capire la forza si è virato su “lo voleva anche la Juve, e pure il Milan”. Cioè, lo volevano anche le squadre importanti, quindi è bravo, e invece quello bravo era Giuntoli, mai troppo valorizzato uomo mercato del Napoli che aveva iniziato a seguirlo tempo fa e per non farselo soffiare lo aveva messo sotto contratto nella scorsa primavera.
Il rumore era tutto all’inizio, quando salutavano, uno per volta, Insigne, Ospina, Fabian Ruiz, Koulibaly e Mertens e, oddio, ora dove potrà mai arrivare una squadra messa così? Sì, per il banco degli imputati c'è più spazio, ma abituato a starsene per conto suo, il Napoli ha lasciato che fuori parlassero di questo, mentre dentro si mettevano le basi di quello che finora è un miracolo. Le mettevano proprio Giuntoli, che andava a pescare i giocatori utili per completare l’organico dandogli un senso diverso dalla raccolta di figurine che amano invece le società in cerca di titoli in prima pagina, e Spalletti, che diventato il vero (e unico) centro del progetto ha potuto osare molto più liberamente. Così si è costruita una squadra bellissima da vedere e, per di più, intercambiabile: non c’è un eccesso di turnover, ma un sapiente uso di calciatori che si sentono tutti ugualmente centrali. Prendete Giovanni Simeone, il Cholito, il figlio di Diego e tutto quello che comporta un argentino che gioca al Maradona: fuori della retorica di cui spesso Napoli è vista maldestramente come epicentro, è l’immagine di una squadra che può diventare decisiva anche alzandosi dalla panchina. Quattro volte ha segnato pochi minuti dopo che Spalletti gli aveva detto “alzati, tocca a te”. E domenica, per vincere contro la Cremonese assai intenzionata a portarsi via un punto, i panchinari ad aver segnato sono stati tre: Simeone (appunto), Lozano e Olivera. E Giacomo Raspadori, che ha segnato già quattro gol in Champions (per dare l'idea: meglio, con cinque gol, solo Haaland, Lewandowski e Salah), doveva inizialmente attendere alle spalle di Oshimen, uno per il quale il Manchester United aveva tirato fuori cento milioni di euro e del quale questo Napoli si è potuto permettere un mese di assenza per infortunio e, ora, persino un rientro graduale.
Del Napoli di oggi quello che si dice è quella frase significativa di una squadra che gioca bene: fa un calcio non italiano. E infatti ne parlano con sorpresa più all’estero, a volte, con una dignità per le imprese maggiore di una pagina 12 di un quotidiano sportivo qualsiasi. Qui tutti lo guardano come una meteora, una di quelle sorprese di inizio stagione, per di più di un campionato strano perché avrà una lunga sosta in inverno per i Mondiali.
E poi, quanto potranno correre così? Non ce l’hanno una rosa così profonda da potersi permettere di tirare il fiato ogni tanto. Ma forse, è questo il segreto, non c’è nessuna intenzione di tirare il fiato: Spalletti, in campo, è quello che si vede; uno che vive tutto ad alta intensità, disposto a sacrificare santoni dello spogliatoio perché serve l’impegno che ci mette lui, e così migliora anche i giocatori che ha a disposizione. Quindi sta spingendo fortissimo e il Mondiale al massimo può far perdere ritmo alla squadra, ma anche concedere – allora sì – un po’ di riposo a chi non lo farà. Però non è il futuro, adesso, il concetto su cui soffermarsi. Sono alcuni numeri: 39 gol in 13 partite ufficiali, tre tondi tondi a partita, 14 giocatori di movimento a segno su 21 schierati, il primo posto in campionato, gli ottavi conquistati con due giornate d’anticipo in Champions. E poter dire, se qualcuno bussa alla porta con un pacco con dentro Cristiano Ronaldo, “no, grazie. Abbiamo Kvaratskhelia” e nessuno si dà più di gomito, perché stiamo vedendo un fenomeno di 21 anni appena, che può solo crescere. Come il Napoli, che intanto fa meno fatica a vincere che a conquistare una prima pagina. Tranne questa, naturalmente.