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Per la Juve e la Ferrari due crisi gemelle, ma diverse

Umberto Zapelloni

I bianconeri sono in crisi, la Rossa no. In questa stagione è incominciata la risalita e ha già portato a 11 pole e 4 vittorie, numeri che prevalgono sulle figuracce derivate dalla mancanza di affidabilità, dalle folli strategie dei box e anche da qualche errore di troppo da parte di Leclerc

Per il mondo malato degli hater da tastiera le crisi di Juventus e Ferrari hanno la stessa origine che non è difficile identificare: la proprietà. Che poi nel caso della Juve è la stessa da quasi cent’anni e in quello della Ferrari dal 1988, anno in cui se ne andò il Commendatore. Certo, ora al comando ci sono le nuove generazioni che in realtà nuovissime non sono e nel caso di Andrea Agnelli hanno già messo la firma su nove scudetti di fila. 

  

Se di questa Juve ci si deve vergognare, di questa Ferrari invece bisognerebbe essere abbastanza orgogliosi perché a Maranello è incominciata la risalita che quest’anno ha portato a 11 pole e 4 vittorie, numeri che prevalgono sulle figuracce derivate dalla mancanza di affidabilità, dalle folli strategie dei box e anche da qualche errore di troppo del Predestinato. Della Ferrari c’era da vergognarsi l’anno scorso e ancora di più nel 2020 una stagione da triplo zero (0 vittorie, 0 pole, 0 titoli) di quelle che se Mourinho corresse in auto citerebbe sempre. Il fondo a Maranello lo hanno già toccato da tempo. La Ferrari non vince più un mondiale dal 1997, epoca Raikkonen (e Montezemolo, per essere precisi), ma poi con Alonso e Vettel ci è andata vicina, con Fernando è addirittura arrivata con 8 punti di vantaggio all’ultima gara. L’ultima volta che una Rossa è rimasta in lotta fino alla fine. Poco prima che Marchionne disse: “In Formula 1 corriamo per vincere”. Non più pervenuta.

 

Quest’anno almeno la Ferrari ha ricominciato a essere protagonista, a sognare anche se il sogno è finito troppo presto in mezzo all’estate. Che cosa manca alla Ferrari per vincere? Molto meno di quello che manca alla Juventus. Pochi giorni dopo aver scritto agli azionisti che “ogni sforzo di tutte le donne e gli uomini della Juventus sarà indirizzato verso la vittoria, a partire dalla stagione in corso”, il presidente Agnelli si è presentato davanti a microfoni per chiedere scusa e dire “provo vergogna e sono molto arrabbiato. I nostri tifosi si vergognano come me e faticano a girare per strada, ma il calcio è uno sport di squadra, si vince e si perde tutti insieme e insieme dobbiamo uscirne”. Ai tifosi non è passata la rabbia, in molti avrebbero voluto che Agnelli concludesse il suo discorso annunciando l’esonero di Allegri, ma sentire il proprio presidente che si vergogna come loro almeno dà l’impressione che il problema è entrato anche nelle stanze che contano dove, per altro, non si era mai caduti così in basso nella gestione di Andrea. Perché un conto è essere battuti da Verstappen e dalla Red Bull (accusata pure di aver barato) un’altra è passare alla storia del Monza e del Maccabi Haifa per aver regalato loro le prime vittorie in Serie A e in Champions. 
La Ferrari ha programmato il suo futuro partendo da Leclerc, forse chiamato Predestinato troppo in fretta, ma certamente un ragazzo con un grande futuro davanti come dimostrano le 9 pole stagionali. Ha puntato sul giovane, gliene ha affiancato un altro come Sainz e ha lasciato a casa due campioni del mondo, prima Raikkonen e poi Vettel. Alla Juve quando scoprono i giovani (vedi Miretti e Gatti) dopo un po’ se ne dimenticano e puntano sull’usato che neppure è tanto sicuro (Di Maria, Paredes, Pogba) dopo esser stati scottati dall’affare (soprattutto per lui) Cristiano Ronaldo che non ha portato il salto di qualità atteso. Sull’usato si è puntato anche per la panchina. Con una scelta che la storia del calcio recente sconsiglia vivamente (vedi Sacchi o Capello per citarne due). Allegri non è l’unico colpevole, ma è certamente colpevole perché la Juve proprio non c’è. Ci sono partite in cui i suoi ragazzi sembrano bambini all’oratorio: ognuno gioca per conto suo. Crozza dovrebbe quasi cambiare cavallo e passare da Binotto al “corto muso” di Allegri. Oggi sarebbe più di attualità. E l’accento toscano di Max aiuterebbe a interpretare la caricatura. Vero che Binotto deve ancora capire qualcosa perché un conto è tornare a vincere, un altro lottare fino alla fine per il campionato, ma oggi la strada di Allegri sembra decisamente più sconnessa.

 

Quello che servirebbe alla Ferrari oggi è qualcosa, o meglio qualcuno che alla Juve c’è già. Non Maurizio Arrivabene che pure a Maranello (nei suoi giorni buoni) non ha lasciato un brutto ricordo. Ma un presidente che abbia il coraggio di prendersi la responsabilità, di vergognarsi in pubblico, di battagliare con tutto e con tutti anche a costo di passare per il grande antipatico. Quello che manca in Ferrari è un presidente che si occupi anche di Formula 1 facendosi sentire quando pare che in Federazione tutto soffi contro Maranello o almeno una struttura solida come quella dell’era Schumacher con Montezemolo, Todt, Domenicali, Ross Brawn, Rory Birne, Paolo Martinelli. Binotto è lasciato ancora troppo solo. La Ferrari non è ancora (e si spera mai lo diventi) solo una casa di moda o di lusso, anche se ha bilanci più da luxury company che da motor company. Non si può certo spingere Andrea Agnelli a Maranello come si pensava qualche anno fa, ma quello che servirebbe al Cavallino è almeno un presidente più presente in pubblico a difendere la squadra che resta la punta dell’iceberg Ferrari anche se non sfila alla settimana della moda.

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