Il Pallone d'Oro a Karim Benzema è una pausa al calcio percepito
Dopo anni di diarchia Messi-Cristiano Ronaldo, il francese ha ottenuto il premio personale più prestigioso, riconoscimento di una stagione strepitosa
Sembrava nemmeno lui ieri sul palco del théâtre du Châtelet. Quegli occhialetti tondi, il vestito elegante, il cravattino girocollo, la barba impomatata, i modi gentili ed emozionati. Era mica davvero Karim Benzema a ritirare il Pallone d’Oro, ci assomigliava, e pure un sacco, ma non era lui. Era un attore da film à la Guy Ritchie, un intellettuale iraniano dell’Iran che fu e che non è più da tempo.
Non è più lui da parecchio tempo Karim Benzema. Il bizzoso e rissoso energumeno da area di rigore, il giocatore dal talento enorme e dall’umore ondivago è sparito, consumato dal vento umido della meseta meridionale. Prima Zinedine Zidane e poi Carlo Ancelotti l’hanno educato alla responsabilità, all’essere perla in un gruppo e non più perla e basta, al dover rispondere agli altri e non più solo a se stesso. E Karim Benzema ha iniziato a brillare come brillava lunedì sera il Pallone che teneva tra le mani, che guardava quasi incredulo, come a dire, a chiedersi, è tutto vero veramente? Ci si può stupire anche a quasi trentacinque anni quando si culla un sogno bambino, che si credeva perduto e invece eccolo lì, lì davanti e non ci si pensava quasi più, sebbene la speranza non fosse persa del tutto. Perché “ho passato momenti difficili, come quando non ero in Nazionale, ma ho sempre creduto che un giorno avrei potuto vincere questo trofeo. Sono orgoglioso del mio cammino. Ringrazio i compagni di squadra, il mio grande presidente Florentino Perez, uno di famiglia, è sempre stato al mio fianco, i miei genitori, tutti. Questo Pallone d’Oro è un premio individuale ma non l’avrei vinto senza la squadra”, ha detto ritirando il riconoscimento. Avrebbe mai detto tutto questo anni fa. Avrebbe detto altro, ma non questo. Era in guerra con il mondo, ora con il mondo ha fatto pace, o forse ha dato al resto il giusto spazio. Ha trovato il suo posto, prima nella vita e poi nel campo. E lì ha iniziato a essere decisivo come pochi.
Nella scorsa stagione ha segnato 42 gol in 44 partite, 17 nell’ultimo quarto d’ora, ha distribuito 14 assist. È stato soprattutto decisivo in Champions League: 15 gol in 12 partite, dieci dai quarti. Ci sarebbe mica arrivata in finale il Real Madrid senza di lui.
Probabilmente non sarebbe servito tutto questo fino a qualche anno fa, quando il Pallone d’Oro era un premio diarchico, riservato a Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. È cambiato niente in queste ultime stagioni, l’età, il passare degli anni, ha solo tolto un po’ di spolvero ai due campioni che hanno fagocitato l’ultima dozzina (abbondante) di premi. Erano i più forti al mondo, questo era lampante, a volte non i più forti stagionali, ma il Pallone d’Oro è anche questo, a volte viene premiata la celebrità, il calcio percepito.
Un’altra diarchia potrebbe arrivare, il calcio percepito potrebbe tornare a differire da quello giocato, e le stagioni meravigliose potrebbero continuare a essere ignorate dai premianti. L’andazzo è quello, non sarà Karim Benzema a farlo mutare. E quindi tocca apprezzare il momento, ma in modo gentile ed emozionato, senza la pretesa di credere che tutto sia cambiato. Il calcio è mica Karim Benzema.