il foglio sportivo
Le lacrime di Paola Egonu ci inchiodano alle nostre responsabilità
Che cosa c'è dietro il caso della pallavolista azzurra. Quelle lacrime e quelle parole sono le lacrime e le parole di tutte le Paola che non hanno il talento e la visibilità della campionessa italiana
La pallavolo è uno sport a diffusione planetaria dove l’Italia, con le sue Nazionali maschili, femminili e giovanili, domina la scena da decenni. L’ultima stagione, appena conclusasi, è stata impressionante: le nostre Nazionali hanno vinto una medaglia d’oro nel Mondiale seniores maschile, una di bronzo in quello femminile e sei medaglie d’oro nei sei campionati europei giovanili, tre maschili e tre femminili. Se sommiamo a questi risultati le due medaglie d’oro agli Europei seniores, sia maschile che femminile, arrivate alla fine della stagione precedente è evidente come questo filotto di risultati rappresenti qualcosa che credo non abbia precedenti nella storia sportiva del nostro paese.
L’ultima medaglia in ordine cronologico, quella di sabato scorso al Mondiale femminile conquista con una sontuosa vittoria contro gli Stati Uniti, è stata quella che ha fatto più parlare. Non per ragioni sportive, purtroppo. Al termine della gara Paola Egonu, opposta azzurra nata a Cittadella, provincia di Padova, figlia di genitori nigeriani, ha confessato in lacrime al suo procuratore di voler lasciare la Nazionale, citando un motivo: “Mi chiedono ancora ‘perché sei italiana?’”. Gli hater ci sono sempre stati, ma in questo caso si sono accaniti dopo una palla sbagliata in semifinale, quella che avrebbe portato le azzurre sul 2-1 contro il Brasile. Paola Egonu ha ripetuto, questa volta guardando dritta dentro la telecamera della Rai, il dolore che tutto ciò le ha procurato.
La prima riflessione che si impone, considerato che la prima dichiarazione non è arrivata in una sala stampa, ma è stata rubata con un telefonino da un tifoso, è che bisognerebbe avere rispetto per ciò che un atleta, al termine di una partita, confida a una persona di sua fiducia. Ho allenato, ho vissuto quei contesti. Se volessi riportare ciò che ho sentito al termine di match particolarmente intensi (nel bene o nel male) beh, potrei scrivere un libro. Cosa che non ho intenzione di fare, proprio perché mai – senza eccezione alcuna – il momento immediatamente successivo alla vittoria più esaltante o alla sconfitta più cocente non è mai quello giusto per parlare o prendere decisioni.
Paola Egonu, tuttavia, non è una giocatrice normale. È un talento pazzesco ed è una ragazza coraggiosa, diventata un punto di riferimento per centinaia di migliaia di giovani del nostro paese, non solo per le sue prestazioni sportive, ma anche per non aver mai avuto paura di parlare del suo orientamento sessuale o di razzismo. Erano bastate, nel 2018, quattro parole: “Sì, ho una fidanzata” per generare titoli a caratteri cubitali, cosa non riuscita, per esempio, con i 45 punti in un singolo match con cui, pochi giorni prima, aveva portato la nostra Nazionale alla finale del Mondiale precedente. E se oggi, è bene sottolinearlo, Paola Egonu ha ventitré anni, ai tempi ne aveva soltanto diciannove. Sabato è tornata a parlare con coraggio, e in maniera esplicita, di razzismo. Lo ha fatto fra le lacrime, dopo aver siglato 26 punti nei tre set della finale, cioè dopo aver fatto splendidamente il suo lavoro per il nostro paese. È una ragazza forte, reagirà. Come hanno reagito altri atleti come Faustino Desalu o Zaynab Dosso che hanno voluto raccontare le loro ferite e, insieme a Paola Egonu, spingerci a riflettere su qualcosa che non ci piace vedere. Quelle lacrime e quelle parole sono le lacrime e le parole di tutte le Paola che non hanno il talento e la visibilità di Paola, ma che hanno la sua stessa dignità e devono avere i suoi stessi diritti.
Le lacrime di Paola sono le lacrime di tutte quelle Paola o di quei Paolo, figli di famiglie immigrate nel nostro paese che vanno a scuola e fanno sport con i nostri figli, ma non possono essere cittadini italiani. E non capiscono, né loro né i nostri figli, il perché. Sono le lacrime di tutte le Paola o i Paolo che vogliono sentirsi liberi di amare chi desiderano. E magari di poterlo anche dichiarare, in un mondo come quello dello sport dove, solo qualche giorno fa, un tweet di Iker Casillas (poi cancellato e spiegato come hackeraggio, come un po’ troppo spesso succede) aveva generato grande stupore.
Le lacrime di Paola Egonu hanno anche un significato sportivo che ha a che fare con un equilibrio interno alla squadra che la pallavolo richiede, in virtù della straordinaria regola, inventata da William Morgan nel 1895, che proibisce che si possa fermare il pallone o toccarlo due volte di seguito, fatto che ricorda a qualsiasi pallavolista, che è sempre il singolo ad avere bisogno della squadra più di quanto la squadra abbia bisogno del singolo. La regola aurea, però, è che può entrare nell’analisi di quell’equilibrio solo chi conosce lo spogliatoio della squadra di cui si sta parlando. E quello spogliatoio lo conoscono soltanto il bravissimo ct Davide Mazzanti e il suo staff. Si apre, tuttavia, un secondo versante che non è solo sportivo e che non può essere ignorato o sottovalutato. Quelle lacrime e quelle parole non riguardano solo Paola Egonu che, sono certo, reagirà con la forza di ogni atleta. Quelle lacrime riguardano noi. E ci inchiodano alle nostre responsabilità, alla nostra necessità di essere capaci di controllare i giudizi da divano e di rappresentare, con le nostre parole e con i nostri atteggiamenti, il paese moderno e civile in cui vorremmo vivere.
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