Una vita da Anconetani

Alberto Facchinetti

Compirebbe 100 anni il presidente che ha fatto grande il Pisa. Vizi e segreti di un grande uomo di calcio

Ainizio anni Novanta sulla rete ammiraglia della tv pubblica andava in onda all’ora di pranzo la trasmissione “Piacere Raiuno”. Piero Badaloni, Toto Cutugno e Simona Marchini raccontavano l’Italia, fermandosi per una settimana in una città. La puntata dedicata a Pisa andò in diretta dal Teatro Verdi, dove fece un ingresso trionfale Romeo Anconetani, il presidente della squadra di calcio in quel momento in Serie A. Anconetani, di cui ricorre il centenario il 27 ottobre, rappresentava per i risultati calcistici e il suo modo di fare, che non lasciava di certo indifferenti, il biglietto da visita di Pisa in tutto il paese. Ad accompagnarlo il nipotino Matteo, mentre in prima fila a seguire l’evento l’intera formazione nerazzurra 1990-91. Tra gli altri si riconoscono un giovane Diego Simeone, sì proprio l’attuale allenatore dell’Atletico Madrid, Mario Been, Henrik Larsen, Aldo Dolcetti, Michele Padovano e l’allenatore Mircea Lucescu. Manca Lamberto Piovanelli, il bomber con più reti in tutta la presidenza Anconetani, perché il pupillo di Romeo si trovava a letto dopo aver subito un brutto infortunio in campionato.

 

Quel Pisa a fine campionato finirà in Serie B, l’anno successivo mancherà di poco la promozione con Ilario Castagner in panchina e non tornerà mai più in A. Nel 1994 il Pisa Sporting club viene dichiarato fallito per dissesto finanziario e viene fondata una nuova società che assume la denominazione Associazione calcio Pisa, iscritta nella categoria di Eccellenza Toscana. Si conclude tristemente l’avventura pisana di Romeo Anconetani, che aveva rilevato la squadra nell’estate 1978. L’aveva portata dalla C alla A, raggiungendo la semifinale di Coppa Italia e conquistando per due volte la Mitropa Cup. I suoi sono stati gli anni d’oro di una città, allora centomila abitanti circa, in cui si respira calcio.

 

Nel 1978 Anconetani ha 55 anni e più di trenta già passati nel mondo del calcio. Il suo romanzo si sarebbe potuto scrivere già allora, anche prima dei risultati e della popolarità raggiunta a Pisa. Nato a Trieste nel 1922, si trasferisce in Toscana per lavoro, finita la Seconda guerra mondiale è già nel mondo del pallone. Da dirigente passa per varie società toscane, mostrando di avere una visione innovativa. Introduce la prevendita per i biglietti dello stadio e istituisce treni speciali per i tifosi. A metà anni Cinquanta viene coinvolto in una storiaccia da IV Serie, la Federazione lo radia a vita per illecito sportivo. Aveva cercato di aggiustare il risultato di una partita. Non può più fare il dirigente. Si reinventa in altri ruoli senza abbandonare il calcio. Fa il giornalista per un quotidiano locale, soprattutto il mediatore per squadre anche di A in un’epoca in cui non esistevano i procuratori e aveva pochi altri colleghi a fargli concorrenza (uno è Walter Crociani). Il trasferimento più clamoroso fu quello che portò nell’estate del 1969 Claudio Sala dal Napoli al Torino per una cifra altissima.

 

“Non è mai stato il mio procuratore”, racconta Sala al Foglio Sportivo. “Anconetani era un cosiddetto mediatore. Io neanche lo conoscevo di persona. Allora i calciatori erano tenuti all’oscuro di tutto. Lessi il titolo di un giornale in un autogrill nei pressi di Rimini mentre stavo andando in vacanza. Il Napoli mi vendette per 470 milioni cash e non mi fece neanche una telefonata. Anconetani si arricchì anche grazie a quel trasferimento”.

 

Anconetani era molto amico di Giuseppe Bonetto, il direttore generale che costruì il Torino dello storico scudetto del 1976. Allora l’appellativo di Anconetani era il “Signor 5 per cento”, perché sembra fossero questi i suoi diritti d’autore per ogni transazione di mercato in cui era coinvolto.

 

Negli anni Settanta si trasferisce a Pisa, nel frattempo anche il figlio Adolfo aveva seguito le orme calcistiche del padre. I primi anni è il suo erede ad avere ufficialmente la presidenza, Romeo infatti è ancora squalificato e lo sarà fino al 1982 quando il Mondiale vinto in Spagna dalla Nazionale porta a una amnistia nel calcio italiano.

 

Grande conoscitore di pallone, i suoi due uomini di fiducia come osservatori erano Noris Schamous e Pier Luigi Meciani. Nasce così il suo mastodontico archivio dove sono puntualmente recensiti un numero imprecisato di calciatori. Documento storico che sarebbe bello oggi ritrovare, ma che probabilmente è andato perduto al momento del fallimento del suo Pisa.

 

Anconetani porta in una realtà calcistica provinciale come Pisa fior di giocatori. I colpi da fuoriclasse li mette a segno all’estero e hanno i nomi di Klaus Berggreen, poi venduto alla Roma facendo quella che oggi nel lessico del calciomercato è una plusvalenza, l’olandese Wim Kieft, il brasiliano Dunga, l’altro danese Henrik Larsen, gli argentini José Chamot e Diego Pablo Simeone.

 

Il bomber Piovanelli racconta al Foglio Sportivo: “Mi aveva fatto seguire dai suoi osservatori di fiducia nei campionati dilettantistici e mi portò a Pisa. Io ero un perfetto sconosciuto. Ma lui conosceva tutto di tutti, non so neanche bene come facesse. Certamente di calcio ne sapeva molto”.

 

Parentesi allenatori. In sedici anni di presidenza ne ha cambiati tanti. In totale ventidue mister presi, mandati via e magari rivoluti nuovamente.

 

Uno di questi fu Aldo Agroppi, rapporto di odio-amore, che nel 1991 in odore di ritorno sulla panca dirà: “Non torno, preferisco vivere”.

 

Castagner, un passato al Perugia e al Milan, venne chiamato da Anconetani per la stagione 1991-92, dopo che le prime tre partite nel campionato di Serie B non erano andate bene. Con Luca Giannini, una vera bandiera del club, erano arrivate tre sconfitte. “Con il presidente ho sempre avuto un buon rapporto, anche dopo che ci siamo lasciati di comune accordo”, dice Castagner al Foglio Sportivo . Abbiamo mancato la promozione in Serie A di poco e io a 52 anni non avevo più voglia dei troppi ritiri punitivi con la squadra. Solo una volta Anconetani mi ha tenuto il muso. Simeone si era fatto male una caviglia in allenamento e da infortunato lo avevano trovato qualche giorno dopo in discoteca. Anconetani valeva dargli una lezione, ma io una volta recuperato l’ho convocato per la trasferta di Cesena perché era uno dei nostri migliori giocatori. Il presidente, che non mi chiedeva mai la formazione in anticipo, quando vide i convocati chiamò il segretario della società, urlandogli: ‘Castagner è esonerato!’ Poi vincemmo la partita e non disse più niente, ma per un po’ è rimasto arrabbiato”.

 

Un’altra volta mise fuori rosa un pugno di giocatori, dichiarando alla stampa: “È una decisione irrevocabile!”. Dopo mediazioni interne e risultati che non arrivavano, si presentò nello spogliatoio, reintegrandoli tutti. “Di irrevocabile c’è solo la morte”, chiuse il discorso.

 

“Mi dava sempre del lei e diceva le cose in modo schietto, parlando tanto alla squadra sia nei momenti difficili che in quelli di euforia”, continua Piovanelli. “Ricordo che con lui c’erano tre livelli di ritiri punitivi. Il peggiore a Volterra in inverno senza avere a disposizione neanche la tv. A Villa delle Rose a Pescia si stava un po’ meglio ma non c’erano né la tv né le carte da gioco. Il ritiro classico era previsto invece in un hotel con campo di allenamento e la possibilità di guardare la televisione e fare una partita a carte. Era un padre padrone. Diceva sempre: il Pisa è una repubblica, ma comando io. Negli ultimi anni di vita era rimasto il solito signore, sempre elegante, impeccabile anche negli abbinamenti dei colori. Dopo il 1994 ha sofferto molto. Ogni tanto lo rivedevo e sempre voleva aiutarmi a rientrare dopo che avevo smesso col calcio giocato”.

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