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IL FOGLIO SPORTIVO - IL RITRATTO DI BONANZA

Il mondo utopico di Maurizio Sarri

Alessandro Bonan

La Lazio gioca bene ed è persino più affascinante del Napoli per la maniera chirurgica con cui seziona il campo e lo riduce in piccole fettine

E se quello di Sarri fosse un calcio tra parentesi? Qualcosa che esiste per pochi e non per tutti, evocando un grande filosofo che proprio tra parentesi ci metteva il mondo, giusto per non farsi capire troppo dalla massa. La risposta come al solito è un volare di uccelli chissà dove. Nel senso che Sarri, cercando l’utopia come per sua stessa ammissione, porta l’osservatore a indagare su qualcosa di misterioso e irrisolvibile.

 

Adesso, accantonando per un attimo la filosofia (un attimo, poi torno), e restando ai fatti (maledette parentesi, non mi avrete) rimane l’indiscutibile beltà del suo gioco. La Lazio gioca bene, e solo il Napoli gli è superiore in quanto migliore nel tasso tecnico complessivo della squadra. Ma la Lazio è persino più affascinante per la maniera chirurgica con cui seziona il campo e lo riduce in piccole fettine. Il toscano sta finalmente avvicinandosi ai livelli di qualche anno fa, quando proprio a Napoli cominciò a sperimentare il suo calcio/laser, esaltandosi con e senza un centravanti vero, cioè con Higuain e senza di lui. Cosa che si sta riproponendo a Roma, con e senza Immobile.

 

Di fronte alla Lazio di questi tempi, si rimane fermi, quasi paralizzati, bloccati dentro un quadro in movimento, un affresco del 1500, giusto per restare ai tempi di Tommaso Moro. Il quale parlava di un non luogo, nella sua isola utopica, dove peraltro si configuravano comunque le distinzioni di classe. Nella squadra di Sarri, sembrano invece tutti uguali, dagli schiavi ai letterati, da Patric e Romagnoli, due reietti fino a un po’ di tempo fa, a Milinkovic il savio, faro e genio. Ognuno è compreso in una parte, distinto nell’attimo in cui fa con il pallone, ma protagonista anche quando si aggira ai confini dell’azione, che confine non è mai, visto che tutti si muovono in funzione di uno smarcamento fatale. Sarri, citando l’umanista, rivela se stesso, il suo mondo, la sua storia.

 

Se Sarri non fosse stato un eterno insoddisfatto, si sarebbe accontentato del suo posto in banca, lasciando il calcio ai margini della sua vita, come un passatempo alla bocciofila. Invece ha scelto di navigare verso l’isola che non c’è, immaginando di trovarla prima o poi, o forse di non scoprirla mai, ma condannato comunque a rimanere tra le onde alla caccia di un posto dove poter vivere esprimendo se stesso. Un viaggio che Sarri sta ancora facendo e che forse non finirà mai. 

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