Qatar 2022 - il foglio sportivo
Alla scoperta del calcio in Qatar
Nel 2015 in Coppa d’Asia ha perso tre partite su tre. Nel 2019 ha vinto la manifestazione. Cos'è cambiato? Nell'emirato il pallone è un po’ importazione, un po’ laboratorio
Può darsi che il Qatar arrivi agli ottavi, ma mettiamolo in chiaro: non sarà una favola. Sarà un acquisto oneroso, il frutto di un investimento, una pioggia di soldi che diventano un risultato. Tanti soldi, come ogni cosa che riguarda il Qatar e come ogni cosa che connette questo stato poco più piccolo della Campania al calcio.
Questo è il Mondiale in cui le squadre hanno potuto riunire i calciatori una settimana prima del via, mentre la Nazionale di casa, l’unica esordiente del torneo, si prepara da dodici anni, dal giorno dell’assegnazione. Anzi, da prima, perché il Qatar che vedremo in campo sarà la sintesi più efficace della filosofia di un paese così spropositatamente ricco: quello che non si ha, si compra.
Lì il calcio nasce un po’ per importazione, un po’ in laboratorio, e anche mescolando le due cose. In principio, una Nazionale così giovane (gioca la sua prima partita nel 1970, ancora come protettorato britannico) aveva pensato di poter prendere giocatori pescandoli ovunque, naturalizzarli sfruttando il regolamento e allestire come una specie di squadra di club quella che giocava sotto la propria bandiera. Cosa riuscita nella pallamano, per esempio, con i Mondiali in casa propria nel 2015, una squadra di fuoriclasse stranieri e il secondo posto che nessuno si aspettava, ma gli sceicchi sì. Invece nel calcio non era subito andata benissimo, ma chi ha una montagna di petroldollari riesce anche a farsi venire le idee migliori e quindi, toh, ecco un’accademia per giovanissimi calciatori avveniristica come nessuna al mondo.
L’obiettivo era questo, intanto: arrivare al Mondiale e potersela giocare. Non ancora l’obiettivo finale, ma intanto eccoci. Tutto pianificato, sin dal 2004, quando l’emiro, non potendo comprare i campioni, compra tutto quello che serve: competenze tecniche, strutture, organizzazione e crea l’Aspire Academy, un posto dove allevare giovani campioni, farli studiare in scuola di alta qualità e costruirsi una squadra più autoctona che, per dare un’idea degli effetti del lavoro impostato, nella Coppa d’Asia del 2015 perse male le tre partite disputate e che nel 2019 ha vinto la stessa manifestazione vincendo sette partite su sette e subendo solo un gol, in finale con il Giappone. Non c’è spazio per il caso, perché nell’Accademia finiscono giovani passati al setaccio da un gigantesco programma di scouting chiamato Football Dreams, che va a caccia dei migliori giovanissimi del paese e di promettentissimi e molto talentuosi ragazzi visti altrove, prima dei grandi club, in particolare dell’Africa, ma anche dell’Asia e del Sudamerica, da far arrivare, vivere in Accademia, sviluppare e naturalizzare (per la Fifa bastano cinque anni consecutivi nello stesso paese a partire dai 18 anni e non aver mai giocato in nessun altra Nazionale). Uno sforzo enorme guidato da Josep Colomer, già scout del Barcellona e mentore di Leo Messi: quasi mezzo milione di ragazzi visionati all’anno, che dopo una serie di selezioni rigidissime, diventano i venti tra i 13 e i 15 anni che hanno accesso al club esclusivo, in cui poi il calcio diventa un’incredibile esperienza pure lautamente retribuita (tutti hanno anche una quota di denaro da poter mandare ai loro genitori nei paesi d’origine) e si lavora solo per diventare professionisti.
Ma siccome crescere e giocare in Qatar non basta, la famiglia regnante Al Thani (la stessa che è proprietaria del Paris Saint-Germain) controlla anche altre società: il Cultural Leonesa in Spagna, il Lask Linz in Austria e soprattutto il Kas Eupen in Belgio. Sono le squadre in cui i giocatori dell’Aspire Academy vengono poi dirottati per misurarsi con il calcio europeo e continuare a crescere. Che è lo stesso motivo per cui il Qatar (allenato da un altro ex Barcellona, Felix Sanchez, a lungo allenatore della cantera catalana), pur essendo ammesso direttamente, si è visto invitato dall’Uefa a disputare fuori classifica il girone di qualificazione al Mondiale con Portogallo, Serbia, Irlanda, Lussemburgo e Azerbaigian. Tutti modi, diretti o indiretti, per far crescere una squadra che non c’era in un paese che è ricchissimo, e con questa ricchezza costringe tutti a fare i conti. Anche reinventando il concetto di Nazionale, visto che l’idea di andare a prendere professionisti adulti dagli altri paesi è tramontata anni fa, ma la squadra che darà il via a questo Mondiale giocando la partita d'esordio avrà un algerino, un portoghese, un marocchino, un barheinita, un maliano, un iracheno, un ghanese, due egiziani e due sudanesi.
Undici naturalizzati su ventisei convocati, molti venuti fuori dallo scouting fatto nel mondo. Che è legittimo, e che ora vedremo alla prova dell’evento più importante. Può essere una grande sorpresa, o un enorme tonfo, ma non sarà mai una favola. Al massimo, se al Qatar andrà bene, sarà la prova che nel calcio il talento non è come il coraggio per Don Abbondio: se non ce l’hai, te lo puoi dare.
Fulvio Paglialunga
Il foglio sportivo - calcio e finanza