Il Foglio sportivo
“Siamo pronti ad aprire un ciclo Ducati”. Parla Claudio Domenicali
“Eravamo all’inferno. Siamo risaliti mettendo gli uomini giusti ai posti giusti. Il prossimo anno Bagnaia e Bastianini non saranno facili da gestire. Ma abbiamo pronti i cartellini”. L'intervista all'amministratore delegato della Ducati
Dietro alla faccia da bravo ragazzo di Pecco Bagnaia c’è tutta una squadra. Dietro a quella squadra vestita di rosso c’è tutta un’azienda. Dietro a quell’azienda italianissima c’è una proprietà tedesca. Dietro a tutto questo c’è da quasi 10 anni un ceo con il passato da ingegnere. Claudio Domenicali, nessuna parentela con Stefano, l’uomo che governa la Formula 1, si sente come uno che sta passeggiando in paradiso dopo essere stato all’inferno. Tre titoli mondiali (piloti, costruttori e team) e innumerevoli brindisi celebrativi fanno quest’effetto. “Sì nel 2013 eravamo davvero all’inferno, non esagero. Prendevamo un secondo e mezzo al giro sull’asciutto, eravamo in una situazione sportivamente drammatica. Ma la voglia di tornare a vincere e la determinazione nell’inseguire il risultato ha riportato la Ducati sulle prime pagine dei giornali. È stato come il whatever it takes che ci ha insegnato Draghi: noi come marca non potevamo non essere protagonisti nel motomondiale a ogni costo”.
Il viaggio nella resurrezione Ducati comincia da qui. “Il segreto è stato mettere le persone giuste al posto giusto. Gigi Dall’Igna è stata una pedina fondamentale e altrettanto lo è stata la volontà dell’azionista di investire per permetterci di fare una crescita adeguata...”.
“Qui non si vince senza avere le risorse. L’azionista poteva decidere di investire meno e trarre maggiore profitto, invece eccoci qui…”. Audi ha acquistato Ducati nel 2012 dopo essersi già portata a casa due marchi storici come Lamborghini e Italdesign. Era il secondo anno dello sfortunato matrimonio con Valentino Rossi. Sembrava che dopo Stoner, campione nel 2007, nessuno potesse far vincere quella moto rossa, velocissima, ma terribilmente nervosa.
“Audi è il miglior azionista che abbiamo mai avuto perché somma tre cose. Primo: un grande rispetto per la marca, hanno comprato l’azienda e l’hanno lasciata in Italia con il management italiano, non hanno voluto cambiare il Dna di Ducati partendo dalla conferma delle persone. Non hanno voluto cambiare neppure il posizionamento, i nostri valori erano style, sofistication e performance prima di Audi e lo sono anche oggi con Audi. Non c’è stato un cambio valoriale. Secondo: sono persone molto appassionate. Markus Duesmann, l’amministratore delegato di Audi, ha 50 moto in garage. È un motociclista appassionato, un grande appassionato di gare, è stato lui a spingere per far entrare Audi in Formula 1. Lo stesso direttore finanziario ha cinque Ducati. E la terza cosa è che credono così tanto in noi che tutto il flusso di cassa che generiamo viene lasciato in azienda e reinvestito per il futuro”. E per un’azienda che quest’anno supererà il miliardo di fatturato, con una buona profittabilità, significa tanto. “La Ducati che vedrete fra tre anni sarà molto diversa da quella di oggi perché stiamo investendo sul prodotto, andremo a coprire nuovi settori, amplieremo la rete”. Ducati l’anno scorso ha venduto 59.447 moto, quest’anno sfonderà quota 60 mila con un nuovo record. “Ma noi vogliamo produrre un po’ meno Ducati di quelle che ci chiedono i clienti”, dice Domenicali parafrasando una frase di Enzo Ferrari. “In realtà noi siamo a metà strada tra Ferrari e Porsche per quanto riguarda l’esclusività. Vincere il Mondiale fa vendere più moto, ma noi non vogliamo esagerare”.
Nei suoi dieci anni da amministratore delegato (l’anno prossimo il compleanno, Domenicali ha visto l’azienda crescere e trasformarsi, mantenendo però intatti valori e passione. “Entrando nel Gruppo Volkswagen che ha oltre 680 mila dipendenti, l’azienda non ha solo avuto la solidità finanziaria, ma ha visto una trasformazione dei processi produttivi. Più solidi, ma anche più rigidi. Un equilibrio delicato mantenere creatività e passione all’interno di una struttura più proceduralizzata. Abbiamo trovato un buon bilanciamento tra la modalità di lavorare tedesca, molto precisa, rigorosa, attenta alle scadenze, alla pianificazione e la creatività italiana che ci permette di continuare a fare moto bellissime e a essere innovativi nelle corse e di avere un rapporto con i clienti basato sulla passione. Il nostro è un mix imbattibile”.
Come imbattibile è stata la Desmosedici in pista: 12 vittorie e 16 pole in 20 gare. Un dominio assoluto anche se a un certo punto neppure Domenicali ci credeva più. “A meno 91 punti non ci credevo più. Sono andato via dal Sachsenring dicendo anche quest’anno è andata. Poi ad Assen abbiamo guadagnato 25 punti in un colpo, ma ancora non ci credevo tanto. Poi c’è stata la pausa estiva. Abbiamo fatto molti ragionamenti tra di noi, con Davide Tardozzi, Pecco, Gigi. L’abbiamo sfruttata quasi come un ritiro. E poi alla ripartenza a Silverstone Pecco non era il più veloce ma ha vinto e allora ho cominciato a pensarci. Poi quando a Misano ha vinto la quarta di fila, allora abbiamo cominciato a far paura a Fabio (Quartararo) e noi a crederci sempre di più…”. Siamo alla solita questione dell’uovo o della gallina. Conta di più la moto o il pilota. “Cinquanta e cinquanta. La nostra moto è molto forte, ha vinto con tutti. Però Pecco è stato fortissimo, ha vinto 7 gare. Ha sbagliato tanto, ma ha vinto tantissimo e il Pecco posta pausa è un’altra persona. E ha un grande margine di miglioramento. Lui ha vinto la sua prima gara ad Aragon 2021, quindici mesi fa. Ha avuto una crescita pazzesca. Da quando ha vinto la prima volta ha vinto 11 gare. Vincere gli ha cambiato qualcosa nella testa e vincere il Mondiale lo cambierà ancora perché gli toglierà la pressione. Io mi sono innamorato del suo modo di guidare a Jerez 2019, su una pista tradizionalmente sfavorevole perché si diceva che la Ducati non girava. Il Dovi diceva addirittura: qui non si può guidare questa moto perché allarga di muso. Una cosa che durava da sei sette anni, da quando eravamo all’inferno. Poi a Jerez questo ragazzino con la sua posizione di guida completamente sporto fuori dalla moto va fortissimo… Mi ricordo che feci un tweet sottolineando quanto apprezzassi la sua posizione di guida che fece infuriare Dovizioso… però la verità è che lo stile di Pecco ci ha aiutati a capire quello che si poteva fare con la moto”. Se quello di Stoner era stato un Mondiale isolato quello di Pecco è solo l’inizio dell’avventura: “Se lavoreremo bene credo che potremo aprire un ciclo come quello che ha fatto Schumacher quando è arrivato in Ferrari”. Il primo avversario di Pecco l’anno prossimo sarà il suo compagno di squadra, Enea Bastianini, detto “la Bestia”, uno che non viene a fare il gregario del campione del mondo. “La nostra filosofia è di avere due compagni che si spingono a vicenda per togliersi ogni dubbio sulla potenzialità della moto. Il tuo compagno davanti è sempre il miglior stimolo. Avere un compagno forte è sempre un vantaggio, ma certo sarà importantissimo gestirli in pista. Noi vogliamo una competizione forte, ma estremamente leale. Ma se poi in pista vedremo dei comportamenti non leali tireremo fuori i cartellini: giallo o rosso. Certo non stiamo sottovalutando il problema perché Enea è un peperino e Pecco sembra buono, ma è un peperino anche lui. Io l’ho definito il nostro dottor Jekyll e mister Hyde. Un bravo ragazzo fuori dalla pista, ma uno tostissimo in pista avete visto come ha lottato con Fabio all’ultima gara… Il rischio che le cose possano finire male esiste e noi dovremo definire bene le regole tenendo conto che sono ragazzi giovani e quindi aiutati e guidati perché il loro entusiasmo non li porti a fare delle stupidaggini”. Se diventerà un problema, sarà comunque un bel problema da affrontare.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA