Il Foglio sportivo
La nuova vita di Sonny Colbrelli
L'ex campione italiano ed europeo ha annunciato l'addio al ciclismo. "In Italia non si può fare sport con un defibrillatore incorporato, all’estero sì. Ci sono ancora giorni in cui non mi do pace, ce ne sono altri in cui penso di essere stato fortunato. Prima di trovare un equilibrio ci vorrà tempo"
Era il 21 marzo, il 21 marzo 2022, eppure sembra un secolo fa. Era a Saint Feliu de Guixols in Spagna, prima tappa della Volta Ciclista a Catalunya: Sonny Colbrelli, secondo al traguardo, poi un vuoto, un nulla, uno scollegamento, e un ritorno alla vita.
Pronto, Sonny?
“Eccomi”.
Dov’eravamo rimasti?
“Che dopo quaranta giorni, e fino all’altro giorno, speravo, cercavo, volevo tornare a correre”.
E adesso dove siamo?
“Ho deciso di non correre più”.
Perché?
“Perché in Italia non si può fare sport con un defibrillatore incorporato, all’estero sì. Tant’è vero che Christian Eriksen, il danese del Manchester United, gioca con un defibrillatore. Ma fra calcio e ciclismo, dal punto di vista dello sforzo cardiaco, c’è una bella differenza. E c’è una bella differenza anche dal punto di vista del pronto soccorso: un defibrillatore, nel calcio, è ai bordi del campo, 110 metri per 70, nel ciclismo ‘il campo’, cioè la strada, è di 200, 250, 300 chilometri, e magari di defibrillatori ce n’è uno solo”.
Avrebbe potuto tesserarsi all’estero?
“Sì, ma credo che il mio caso spingerà l’Uci a creare una norma valida per tutti”.
Quando succederà?
“Più prima che poi”.
Una decisione sofferta, la sua, di lasciare il ciclismo?
“Soffertissima. Faccio fatica a pensarci, parlarne, raccontarmi. Così il più delle volte non ci penso, non ne parlo, non mi racconto. Ci sono ancora giorni in cui non mi do pace, mi commisero, mi lamento. Una malinconia. Ma ce ne sono altri in cui penso di essere stato fortunato, privilegiato, salvato, e di essere sopravvissuto, resuscitato, risorto. Una gioia. Ma prima di trovare un equilibrio, una tranquillità, una completa accettazione di quello che mi è successo, insomma, ce ne vorrà”.
Perché è successo?
“Non lo sanno i medici, figurarsi se posso saperlo io. Ma credo che Covid, preso, e vaccini, fatti, abbiano influito. Su questa ipotesi i medici non sanno che cosa dire. Non confermano, ma neanche smentiscono. La verità è che sull’argomento non esiste abbastanza letteratura scientifica. Forse lo si saprà fra dieci anni”.
Più avuto niente?
“Niente di niente. È stato un solo episodio, fulmineo e misterioso”.
E adesso?
“Ho trentadue anni, una moglie e due figli. Mi godo la famiglia e la casa. Se fossi ancora un corridore, vivrei come un nomade, tra raduni e ritiri, allenamenti e corse, vigilie e rientri, alberghi e aeroporti, valigie e borse, compagni e tecnici, meccanici e messaggiatori, bus e ammiraglie. Però… però certe volte mi mancano. È stata una vita, quella da corridore, bellissima. Fatta di speranze e sogni, progetti e programmi, traguardi e podi. E i ricordi mi feriscono. Così l’altro giorno ho preso maglie e calzoncini, trofei e targhe, foto e manifesti, ho messo tutto dentro scatoloni e portato tutto nell’angolo più lontano e nascosto dello scantinato. Piazza pulita”.
E la pietra della Parigi-Roubaix?
“Prestata a un amico”.
E le bici?
“Quelle sono a vista. Un po’ le snobbo, non ci vado più tutti i giorni, ma ogni tanto sì. Come una decina di giorni fa, il gruppo dei soliti amici e appassionati, un centinaio di chilometri, su strade che conosco a memoria e potrei fare a occhi chiusi, con soste e senza tabelle. Una scampagnata, una rimpatriata, un’occasione per ritrovarsi”.
E le bandiere, quella italiana di campione italiano e quella europea di campione europeo, che sventolavano fuori da casa?
“Segate”.
Segate?
“Segate, non ammainate”.
Sonny, come riempie la sua vita di tutti i giorni?
“La mia squadra, la Bahrain Victorious, mi ha assunto come ambasciatore. Confesso che la loro decisione mi ha stupito. Non era scontato. La loro decisione mi ha onorato. Significa che nel ciclismo, oltre ai risultati, c’è spazio anche, ancora, sempre, per i valori. Come la spontaneità, la semplicità, la sincerità. È come se mi avessero premiato per il mio carattere, per la mia umanità”.
Ambasciatore?
“Testimone, consulente, uomo-immagine, si dice così, no? In occasione dei raduni e dei ritiri, delle presentazioni e delle inaugurazioni, con un’attenzione particolare verso i giovani e nelle corse al Nord”.
E quell’antica promessa di dedicarsi a una squadra giovanile?
“È ancora valida. Dal ciclismo ho avuto tanto e voglio restituire tanto. Soprattutto con bambine e bambini, ragazzine e ragazzini. Dai G1, i giovanissimi al primo anno, fino agli allievi. Ma per fare le cose come si deve, bisogna avere tempo e soldi. Per il 2023 è troppo tardi, per il 2024 vedremo”.
Il corso da direttore sportivo?
“Mi ero già iscritto. Ma il giorno prima mi è venuta la febbre, ho fatto il test e ho scoperto di avere il Covid. La mia seconda volta. Neanche avessi fatto l’abbonamento. E siccome di corsi da direttore sportivo ce n’è solo uno l’anno, tutto è rimandato al prossimo ottobre. C’è da piangere. O da ridere. Certe volte mi sembra che la mia vita sia una barzelletta”.
Il telefono squilla?
“Mi chiamano per partecipare a eventi. Inaugurazione di negozi e boutique, aperture di supermercati e magazzini, incontri con aziende e industrie, al via di pedalate e corse, alle feste di corridori e società. Quando posso, vado. Quando non posso, chiedo scusa. Ma a questo punto, la famiglia si gode la precedenza”.
Da cosa – si dice – nasce cosa.
“E dagli incontri nascono le opportunità. Mi hanno chiesto anche di partecipare a un incontro contro la violenza alle donne. Ci sarà Max Rosolino, il campione di nuoto. Chi lo avrebbe mai detto?”.
Iniziative personali?
“Entrare in società con un mio amico, proprietario del Bar Giardino di Barbarano, sopra Salò. È il punto di ritrovo delle ‘bestie del pedale’. Lì dentro ci sono già mie gigantografie. Potrei aggiungerci le maglie di Pogacar e Sagan e aprire un ristorante specializzato in carne e verdure alla griglia”.
E il suo libro?
“Mi invitano a presentarlo in librerie e biblioteche. Ci andrò. Un paradosso, per uno che, in vita sua, ha pedalato molto e letto poco”.
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