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L'armamentario retorico per sminuire il Napoli è sempre più in difficoltà

Giuseppe Pastore

La squadra di Spalletti è una squadra magnifica che pratica calcio tecnico in movimento con una fluidità rarissima in tutto il continente e finora non ha mai inviato alcun segnale di benché minimo cedimento mentale. E quando lo ha fatto non ha perso

Nel ciclismo le chiamano fughe bidone: nel mezzo di una tappa di trasferimento qualcuno senza preavviso piglia, parte e se ne va, mentre i leader della classifica generale non ritengono di dover muovere un muscolo e sprecare preziose energie: dove vuoi che vadano, tanto li riprendiamo, e nella peggiore delle ipotesi il Giro è ancora lungo. E invece arrivano. Una delle fughe-bidone più famose del nostro sport fu quella che riuscì a un semisconosciuto Claudio Chiappucci alla seconda tappa del Tour de France 1990: arrivò al traguardo di Futuroscope, un parco di divertimenti a nord di Poitiers, con oltre dieci minuti e mezzo sul gruppone, gettando le basi per una Grande Boucle da protagonista a sorpresa in cui vestì la maglia gialla fino al penultimo giorno, fino a che Greg Lemond non fece valere la propria supremazia a cronometro e lo costrinse a uno splendido secondo posto.

 

Le fughe-bidone sono roba da eroi per caso, effimeri operai delle due ruote premiati da un giorno di libera uscita, e va da sé che se una fuga-bidone diventa qualcosa di più grosso – come nel caso di Chiappucci – smette di essere tale. Ci vuole sangue freddo per individuarla nel momento in cui sta avvenendo. Il grande favorito convive con il rischio di sottovalutarne una e buttare all'aria una corsa a tappe preparata per mesi. Adesso il Napoli è scappato e gli osservatori più pigri non fanno che porsi le stesse domande da settimane: ma dureranno? Ma dove vuoi che vadano? O i buoi sono già scappati? Ormai l'armamentario retorico per sminuire la terza squadra migliore della storia della Serie A nel medio periodo delle 15 giornate – 41 punti, gli stessi della Juventus 1949-50, uno in meno della Juventus 2005-2006, due in meno della Juventus 2018-19, poi tutte dietro – si è ridotto a qualche smozzicato luogo comune sempre più svogliato e improbabile. Passiamoli in rassegna e smentiamoli uno per uno: questa squadra spettacolare, macchina da 57 gol e 18 vittorie in 21 partite tra campionato e Champions, non merita di stare nel sottoscala dell'ordinaria amministrazione della Serie A.

  

Ma tanto Spalletti crolla al ritorno. Spesso piazzato ma mai vincente in 25 anni di carriera, Luciano Spalletti convive col pregiudizio com'era capitato l'anno scorso a Stefano Pioli e prima ancora a tutti i suoi colleghi – da Carlo Ancelotti a Sven Goran Eriksson – cui non era stata appioppata da subito la micidiale e melliflua etichetta di “vincente”. La realtà è che mai Spalletti ha allenato una prima favorita per il titolo: non lo era alla Roma, negli anni dello strapotere interista post-Calciopoli, non lo era in un'Inter in totale ricostruzione che riportò in Champions dopo sette anni, non lo era l'anno scorso a Napoli e nemmeno quest'anno dopo le partenze in massa dell'estate. Quindi quale sarebbero i tanti scudetti sfumati al ritorno, i “crolli puntuali” a gennaio che sono avvenuti solo all'Inter, e in almeno uno dei due casi – il pasticciaccio brutto di Icardi 2019 – aveva alibi fondatissimi? Addirittura, l'anno scorso nel girone di ritorno il Napoli ha fatto un punto in più rispetto all'andata, quando aveva smarrito sei punti su sei in casa contro Empoli e Spezia dopo due partite a lungo dominate. Ed è stato molto costante nella stagione alla Roma 2016-17, quella degli 87 punti, un'annata passata volgarmente alla storia solo per la faccenda Totti da cui – possiamo dirlo o vi offendete ancora, cari amici all'interno del Gra? – è uscito coi nervi a pezzi, ma col senno di poi da trionfatore.

  

Ma tanto De Laurentiis rovina tutto. Certi atteggiamenti da guappo mattocchio alla Elon Musk avranno forse nuociuto all'immagine di Aurelio De Laurentiis, ma ci sarà un motivo se oggi il Napoli è la squadra italiana con più qualificazioni consecutive nelle Coppe Europee: tredici stagioni in fila, dal 2010 in poi, e quest'anno diventeranno quattordici. Si dice anche: per adesso De Laurentiis sta zitto, ma prima o poi... È vero che l'impulso autodistruttivo è un fedele compagno di viaggio di tanti uomini di potere, ma a questo punto veramente fate? Si continua a stemperare nel folklore uno dei modelli calcistici più moderni che ci siano oggi ad alto livello in Italia, l'unico insieme al Milan che ha avuto la lucidità di declinare al futuro il mercato, scaricando senza pensieri alcuni pesi morti mediaticamente molto pesanti (Insigne e Mertens, giusto per non fare nomi), monetizzando alla grande e rimpiazzando alla grandissima un apparente intoccabile come Koulibaly. Per sostituire KK e Insigne Giuntoli ha pescato due campioni dalla periferia del grande calcio, indicando al resto dei direttori sportivi la vastità dei confini del calcio moderno, senza guardare al passato o costringendo lo sguardo nel paraocchi del brullo orticello della serie A. Infine ha mantenuto sangue freddo negli ultimi giorni di mercato e ha acquistato sul gong tre ricambi di lusso come Raspadori, Simeone e Ndombele, ieri partiti tutti e tre dalla panchina a conferma dell'imprevista profondità della miglior rosa del campionato.

  

Ma l'ambiente di Napoli non è pronto. Ovvero: a Napoli non vincono uno scudetto dal 1990 e dunque così andrà nei secoli dei secoli. La dicotomia Milano-Torino, non esattamente un toccasana per il prodotto-calcio negli ultimi trent'anni, non potrà dunque essere mai spezzata? Al di là delle legittime antipatie per il presidente o l'allenatore, al di là delle meno legittime idiosincrasie per una città intera (c'è anche un pochettino di razzismo nel considerare il Napoli una simpatica macchietta senz'alcuna credibilità nel lungo periodo), lo scudetto azzurro sarebbe una gran bella notizia per tutta la Serie A troppo a lungo fossilizzata sulle solite note: quattro vincitrici diverse consecutive non si verificano dal periodo 1999-2002. Quanto al fantomatico “ambiente” che alla lunga ammanterebbe di appocundria l'intera rosa del Napoli, di cui la prima subdola avvisaglia sarebbero i famigerati furti d'auto ai giocatori (ma rubano le macchine anche a Sondrio e a Pordenone, se non andiamo errati), basti il messaggio Instagram del sud-coreano Kim Min-Jae, che pochi minuti dopo il primo errore stagionale si è profuso in quattro righe di scuse su Instagram come se si fosse reso colpevole di un'eccessiva coagulazione del sangue di San Gennaro. Un alieno a Napoli.

  

Ma dopo i Mondiali vedrete. Qui, un banale dato statistico: il Napoli porta al Mondiale cinque giocatori (Anguissa, Kim, Lozano, Olivera, Zielinski), nessuno dei quali dovrebbe essere destinato a un percorso troppo glorioso. Milan e Inter ne hanno sette a testa; la Juventus addirittura undici. Per dirne quattro di una certa importanza, Osimhen, Kvaratskhelia, Lobotka e Di Lorenzo passeranno un Natale spensierato come nemmeno nei più efferati cine-panettoni del presidente. Se il Napoli è destinato a cedere di schianto – e a gennaio lo scopriremo subito, dal momento che alla prima del 2023 c'è Inter-Napoli e alla terza Napoli-Juve – certamente non sarà per colpa di Qatar 2022.

  

Lo stesso autore di quest'articolo tre mesi fa dubitava assai del new deal napoletano, tanto da non inserirlo nemmeno tra le prime quattro classificate alla sosta: ma concedete a quel poveretto almeno il beneficio dell'asterisco, perché al 12 agosto il Napoli aveva ancora parecchie caselle scoperte e sembrava in febbrile ricerca di un nuovo portiere (che poi non ha più comprato). Allargando un po' la visuale, forse nello snobismo anti-Napoli di certi addetti ai lavori (sempre meno) che seguitano a relegarlo a pagina 14 c'è l'umano rosicamento per non aver saputo riconoscere la scintilla improvvisa e accecante di quel che s'è acceso a partire dalla grigliata di Ferragosto di Verona-Napoli. Una squadra magnifica che, alla maniera dell'Arsenal capolista a sorpresa in Premier League, pratica calcio tecnico in movimento con una fluidità rarissima in tutto il continente e finora non ha mai inviato alcun segnale di benché minimo cedimento mentale. E quando lo ha fatto, ieri pomeriggio nell'ultimo quarto d'ora sul 3-0 per umano relax dopo 75 minuti da grande squadra, non ha nemmeno pagato dazio. E cosa vuoi di più dalla vita? Un Luciano.

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