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Qatar 2022 - il Foglio sportivo

Un Mondiale senza ritiri, cotto e mangiato che pare una Nations League

Enrico Veronese

Mai prima d’ora le convocazioni erano giunte ad appena una settimana dal fischio iniziale, con i campionati nazionali ancora in corso fino all’ultimo momento

Domenica 13 novembre, ore 15.39, stadio Bentegodi di Verona. In un contrasto con Kevin Lasagna, il portiere dello Spezia Bartlomiej Dragowski si infortuna alla caviglia ed esce: in un primo tempo si temeva addirittura la frattura, scongiurata ma non tanto da consentire all’estremo difensore di disputare l’imminente campionato mondiale con la Polonia, nonostante fosse stato regolarmente convocato tre giorni prima. Di incidenti in grado di causare il sofferto addio a un appuntamento cruciale come un campionato del mondo ne sono avvenuti tanti nella storia del calcio, Roberto Bettega ancora rimpiange di non aver vinto il titolo in Spagna nel 1982: mai però prima d’ora le convocazioni erano giunte ad appena una settimana dal fischio iniziale, con i campionati nazionali ancora in corso fino all’ultimo momento. Le settimane antecedenti il Mondiale qatariota, il primo da disputarsi in autunno per ovvie ragioni climatiche, sono diventate una fabbrica quotidiana di rinunce dolorose: il vice Pallone d’Oro Sadio Mané – uscito per guai fisici durante un evitabile 6-1 del Bayern Monaco – ha perso l'occasione della vita calcistica con la Nazionale. E come lui a novembre in mille sono scesi in campo “col braccino”, stando attenti alle gambe per non incappare nella trappola che sola li avrebbe potuti estromettere dal massimo evento calcistico globale: senza contare coloro che appena guariti hanno continuato ad allenarsi a parte o in gruppo, declinando di giocare per chi li paga, al fine di preservarsi in vista di Doha.

 

    

Saranno proprio i desaparecidos e gli ex lungodegenti i migliori della spedizione nel deserto, già sotto critica per le tanti morti nei cantieri, i tifosi nei container e i diritti negati alle persone lgtb?

 

Entro una patina d’internazionalità fungibile in ogni lounge, il problema inedito che la Fifa si è trovata a fronteggiare constava nell’intersezione tra il calendario mensile del torneo e le normali attività delle società di club, cosa che non s’imponeva durante le pause estive. La soluzione più logica e giusta, ovvero fermare al 15 ottobre la Premier League, la Liga spagnola, la Bundesliga, la Ligue 1 francese, la Serie A italiana e tutte le altre stagioni – in modo da consentire l’effettuazione del ritiro premondiale – è stata cassata in nome della compressione delle date: tanto che i commissari tecnici hanno provveduto a una prima scrematura “di massa”, tenendo in allerta anche 55 giocatori per ogni Nazionale.

  

Un Mondiale instant, cotto e mangiato in velocità, pare una Nations League. Niente ritiro anticipato e team building, quasi zero amichevoli di preparazione: la forma dei giocatori è quella dei rispettivi campionati, le gerarchie dei commissari tecnici si sono calcificate durante le qualificazioni, l’amalgama difficilmente scalfibile da novità dell’ultim’ora. Lo ha ribadito Luis Enrique, ct della Spagna: “Fosse stata una classica Coppa del Mondo, avremmo tre settimane per prepararla. La preparazione specifica non è più alla fine della stagione, ma adesso, quando hanno giocato già 14 gare di campionato”. Lontani i tempi in cui lo striminzito successo contro lo Sporting Braga metteva in allarme Enzo Bearzot prima del silenzio stampa, oppure la débâcle contro il Pontedera di C2 verso Usa ’94 faceva più rumore della finale di Pasadena. Ai ritiri, non solo azzurri, sono legate molte mitologie narrative che hanno fatto la fortuna di chi comunica: Sendai, Duisburg, la Pingry School apparivano ora Moloch impenetrabili, ora pareti di vetro piene di spifferi. Tanto che Giovanni Arpino ricavò “Azzurro tenebra” dal fallimento della gestione Valcareggi, quando gli olandesi dormivano assieme alle mogli prima delle partite. Ora non c’è più contorno, solo l’asepsi della conta: ma da una kermesse nata così, almeno, ci sta che esca la sorpresa in grado di affermarsi sulle ali dell’entusiasmo, come la Grecia a Euro 2004 (pur senza brillare all’esordio). Basta fare bene – o avere fortun – nella parentesi limitata a ridosso del Natale: e dopo, in spogliatoio, nemici come prima.

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