Qatar 2022
La Serbia contro il Brasile vuole ritornare al 2015
Ai Mondiali under 20 in Nuova Zelanda di allora furono gettate le basi della Nazionale serba di oggi. Finì con una finale vinta contro i verdeoro
Si dice che la Nazionale di calcio della Serbia, che giocò la sua prima partita il 18 agosto 2006, sia nata in realtà nel 2015. Nella lontana Nuova Zelanda. Lì, ai Mondiali di categoria, i ragazzi dell’under 20 siglarono un patto col futuro: una partita alla volta, fino alla finale contro il Brasile, favoritissimo per antonomasia. L’1-1 con cui si va ai tempi supplementari è già una sorpresa. A un passo dai rigori la Seleçao si sbilancia, Nemanja Maksimovic taglia come una lama nel burro la difesa verdeoro e in contropiede trova il gol “che manda la Serbia nella storia”, acclama la tv di Belgrado. E allo stesso tempo la fa uscire dal suo tribolato passato. È l’annuncio di una nuova generazione. Che nel frattempo s’è fatta grande, e stasera a Doha riparte proprio dal Brasile.
Per Milinkovic-Savic e compagni è la partita del destino, se tre indizi fanno una prova: dopo il precedente di sette anni fa, le urne sistemarono le due nazionali nello stesso girone già al Mondiale 2018. In Russia non ci fu partita – Paulinho e Thiago Silva sbrigarono la pratica con un gol per tempo – e la Serbia uscì tristemente al primo turno. Ma come il centrocampista della Lazio dice oggi ai microfoni della Fifa, “tutto all’epoca accadde molto velocemente”. Lui e molti altri compagni non presero parte alle partite di qualificazione, “ritrovandosi convocati a sorpresa e con la sensazione di non meritare di essere lì”. Era presto, insomma. Gli eroi di Auckland, forse con colpevole ritardo dei selezionatori, si stavano appena affacciando alla nazionale maggiore. Oggi invece sono l’asse portante di questa Serbia. Che brilla grazie ai gol degli attaccanti – Mitrovic, Vlahovic, Jovic –, alle giocate di capitan Tadic e agli assist di Kostic. Ma la sua anima silenziosa è in Rajkovic, Veljkovic, Babic, Maksimovic, Grujic, nei fratelli Milinkovic-Savic.
Sono i sette reduci di quel Mondiale U20, quattro dei quali vinsero anche l’Europeo Under 19 del 2013. Lì c’era pure Mitrovic, il match-winner di Lisbona che al 90’ regalò il Qatar alla Serbia senza passare per gli spareggi. Altro spartiacque del calcio balcanico: l’alchimista dietro all’affiatamento del gruppo è Dragan ‘Piksi’ Stojkovic. La leggenda locale che a marzo 2021 rilevò una nazionale ferita – fuori dai precedenti Europei – per poi rivoltarla come un calzino. Negli interpreti e nell’atteggiamento. Mitrovic diventa straripante, la difesa un muro, la regia di Milinkovic fine cervello: in 14 partite ufficiali con Stojkovic in panchina, la Serbia ne ha vinte 10 e pareggiate 3, con il solo ko indolore contro la Norvegia in Nations League. “Per noi all’inizio è stato strano farci allenare da un personaggio tanto famoso”, di nuovo Sergej. “Ma ora abbiamo imparato cose di cui faremo tesoro per il resto della carriera. E lui ci ha reso consapevoli dei nostri mezzi”.
Stojkovic ha voluto fortemente questi ragazzi. Magari intravedendovi tracce della zlatna generacija: la sua generazione d’oro. Pure quella formidabile Jugoslavia – ma non Piksi, già fuoriclasse affermato – partì dalla vittoria ai Mondiali U20, in Cile nel 1987. Era la squadra di Suker e Prosinecki, che tre anni dopo avrebbe incantato l’Italia grazie ai gol del suo leader tecnico. Tutto – ben oltre il calcio – finì ai quarti di finale, persi ai rigori contro l’Argentina. Oggi Stojkovic punta a saldare l’antico conto in sospeso: la Serbia, a Belgrado ne sono convinti, ha i mezzi per arrivare tra le prime otto. Per farlo serve un’iniezione di fiducia. O un altro scalpo eccellente dopo il Portogallo: sorprendere il Brasile sarebbe il miglior viatico di un torneo da protagonista. E chi è rimasto, di quei verdeoro beffati in Nuova Zelanda? Soltanto Gabriel Jesus. La Seleçao è abituata a vincere e dimenticare in fretta. Forse troppo. Occhio agli inserimenti di Maksimovic.