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Il Foglio sportivo

Una sera al velodromo per Uci Track Champions League

Giovanni Battistuzzi

Quell'irresistibile voglia di buttarsi giù dalla balaustra sopra il curvone parabolico del Velodrom di Berlino. Il ciclismo su pista vuol dire felicità

Dalla balaustra sopra i curvoni parabolici di un velodromo viene voglia di buttarsi giù di sotto. Mica di faccia, si rischia, ripidi come sono, di lasciarci il naso o gli incisivi. Ma di culo sì. Buttarsi di sotto di culo, scivolare verso il limite interno della pista, fermarsi sulla fascia di riposo, quella fascia che di solito è azzurra e non si può usare quasi mai (nella velocità sì) nelle gare di ciclismo su pista.

 

La prima cosa che ho desiderato la prima volta che sono stato in un velodromo era quella di buttarmi giù di culo dalla balaustra sopra una delle curve paraboliche. Da allora sono passati circa trent’anni, anno più anno meno. Non ricordo chi mi ci portò, ricordo però le curve e le balaustre sopra le curve e l’irrefrenabile desiderio di scendere giù di culo dall’alto. Un tizio, uno che aveva più anni che buon senso, e per fortuna, mi diede un cartone – era in cemento la pista –, mi disse di metterlo sotto le chiappe e di non urlare troppo. Fu una meraviglia. Era una cosa bambina, una cavolata forse, una di quelle che l’età dovrebbe far scomparire. Mica vero. Una settimana fa, sabato scorso, al Velodrom di Berlino, l’avrei volentieri rifatto.

 

Al Velodrom c’era la seconda tappa della Uci Track Champions League. Non c’era fino a due anni fa la Uci Track Champions League, perché, chissà perché lo pensavano, il ciclismo su pista non interessava più nessuno. Poi Discovery ha creato la Uci Track Champions League e il ciclismo su pista è tornato a interessare a qualcuno. A più di qualcuno, a un bel po’ di persone. Ce ne era parecchia di gente al Velodrom. Non tutti i posti a sedere pieni però tutta la tribuna centrale sì e quasi tutta quella dirimpetto. E vabbé che a Berlino il ciclismo su pista è storicamente apprezzato e amato, ma era apprezzato e amato quando c’era la Ddr. Allora tanti, tantissimi, andavano al velodromo per vederla, perché il ciclismo su pista era orgoglio nazionale e di pistard forti nella Ddr ce ne erano a bizzeffe. Tanto che tra gli anni Sessanta e gli Ottanta i tedeschi dell’est erano stati, a lungo, la Nazionale da battere. Alla Werner-Seelenbinder-Halle da novembre a febbraio era una gara quasi continua, e ci andavano a decine di migliaia. E quando c’era la Sei giorni di Berlino mezza città almeno si alternava sugli spalti per vederla. Poi è venuto giù il Muro, al socialismo è andata parecchio male e pure la Sei giorni non s’è sentita benissimo. Sembrava che i berlinesi l’avessero dimenticata (saltò pure per un lustro). E non solo i berlinesi.

   

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Ovunque in Europa e nel mondo le Sei giorni sparivano e con loro anche le altre corse e riunioni su pista. E non venivano rimpiazzate. Sparivano anche i velodromi, ma a Berlino decisero che la città non potesse non avere un velodromo e lo rifecero nuovo. Erano contenti di riavere un velodromo, anche se non ci andavano più in tantissimi.

 

La gente sta tornando ai velodromi. E non solo a Berlino. Ma anche in Spagna (prima tappa della Uci Track Champions League a Mallorca), in Inghilterra, in Francia (a Saint Quentin en Yvelines, Parigi, si corre oggi, sabato 26 novembre), per non parlare di Paesi Bassi e Belgio dove i velodromi non si sono mai svuotati.

 

Mentre guardavo giù dalla balaustra e pensavo a quanto sarebbe stato bello buttarmici giù di culo, c’era altra gente attorno a me, uomini e donne che guardavano ragazzini che chissà se stavano pensando allo stesso.

 

Fuori dal Velodrom la neve scendeva lenta dal cielo, bella secca che si posava al suolo e lì restava imbiancando la città a partire da giardini, aiuole, parchi. Fuori dal Velodrom nevicava e i ragazzini guardavano la pista mentre i pistard si stavano riscaldando pronti a muovere le pedivelle delle loro biciclette per cercare di battere tutti gli altri. Probabilmente pensavano all’indomani, a quando avrebbero fatto a palle di neve. Sembrava però che l’indomani fosse meno interessante del presente. Soprattutto del presente che iniziava a muoversi sotto i giochi di luce che davano il via allo spettacolo. La pista si trasformava in una tela e immagini e vortici giravano come biglie sul legno dell’ovale.

   

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Dicono i puristi che l’Uci Track Champions League sia prima uno spettacolo televisivo e poi una corsa ciclistica. Che le corse sono ridotte e poco, pochissimo ortodosse. Ci si gode poco la vita a fare i puristi, ci si diverte per niente. Al Velodrom c’erano sorrisi, birre che scorrevano, bicchieri che si svuotavano, bici che scorrevano e persone felici. C’era soprattutto quello che uno schermo televisivo non potrà mai dare, il tremolio che fanno le biciclette, che viene amplificato dal parquet della pista, che fa ballare le balaustre dalle quali si vorrebbe scivolare giù di culo. Quel tremore che è velocità ed equilibrismo, colore e suono, una specie di arte dinamica e velocissima.