Un altro Giro di Remco Evenepoel
Il campione del mondo di ciclismo sarà al via della 106esima edizione del Giro d'Italia
Lo si aspettava, tornerà. Remco Evenepoel correrà il prossimo Giro d'Italia, la sua maglia iridata scorrerà in mezzo al gruppo, l'idea è quella di farlo avanti al gruppo, di coprirla il prima possibile, o quanto meno a Roma, al termine di tutto, con quella rosa, perché il simbolo del campione del mondo dura un anno, ma vuoi mettere non esporlo quando ci sono di mezzo maglie che hanno lo stesso lustro, ma maggiore almeno per tre settimane?
Manca dal 2012 la maglia con l'iride dal Giro d'Italia. Mark Cavendish vinse tre tappe, per dieci giorni si vestì di rosso classifica a punti, arrivò a Milano, pure un po' acciaccato, perché un campione del mondo non può ritirarsi, lasciare incompiuta una corsa di tre settimane, anche se non chiude con una volata di gruppo.
Remco Evenepoel il suo viaggio ciclistico nell'Italia del Giro lo iniziò l'8 maggio del 2021, poteva iniziare prima, poco più di sette mesi prima: edizione 2020, quella posticipata dalla pandemia. Era previsto per allora il suo debutto in un grande giro. Non andò così a causa di quel volo giù dal ponte prima del bivio per Erno, discesa della Colma di Sormano, Giro di Lombardia. Poteva finire lì la sua carriera, fortunatamente, per lui e per il ciclismo, non è andata così.
Sostengono, i più, che il Giro d'Italia edizione 106 sia stato tracciato pensando a Remco Evenepoel, perché un percorso così, con cronometro così, con certi finali così, e certe salite così, non possa che essere vinto da uno così. Uno come il campione del mondo, uno che a cronometro va parecchio forte e che su certi finali e certe salite può fare il vuoto, trasformarsi in uomo solo al comando.
C'è nulla di male ad avere in testa un nome e cognome, un corridore con certe caratteristiche e cucire il più su misura possibile un abito di strade. È dal dopoguerra che succede, dall'abbandono di ciclismo e mondo di Fausto Coppi, da quando insomma il ciclismo ha superato il momento nel quale erano le corse a fare i corridori e sono diventati i corridori a fare le corse. Vincenzo Torriani fu il primo a capirlo e lo capì ben prima del Tour de France ancora convinto che la grandezza della Grande Boucle bastasse a se stessa. Non era così, cambiò anche il Tour e in poco tempo tornò a essere il centro di gravità del ciclismo dei grandi giri.
L'importante, ciò che determina il successo o l'insuccesso, mediatico più che sportivo, è portare l'uomo per il quale si è creato il vestito di salite, discese, strappi e pianure, decida di vestirlo davvero. Il 6 maggio 2023 Remco Evenepoel sarà a Fossacesia Marina per vedere se davvero le misure dell'abito sono quelle giuste. Per scoprirlo dovrà correrlo e sperare di avere un antagonista, un rivale capace di tenergli testa, evitare che tutto si trasformi in un soliloquio. Perché è questo in fondo ciò che riesce a trasformare un giro ben disegnato, lo sembra, in una grande corsa: il Tour de France dello scorso anno era ben disegnato, è diventato indimenticabile grazie a Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar, Wout van Aert e quella compagnia di avventurieri di talento che da Magnus Cort Nielsen a Thomas Pidcock hanno reso la vita dura al gruppo. È questo che è mancato al Giro in questi ultimi anni. Un manipolo di corridori di carattere e talento volenterosi e capaci di rendere la vita difficile al favorito di turno. Un favorito che, detto francamente, non era mai quello che si avrebbe voluto vedere alle prese con Appennini e Alpi, perché stavano altrove, a sognare il giallo.
L'organizzazione del Giro si è sinora mossa bene, dovrà continuare a farlo. D'altra parte lo diceva Vincenzo Torriani già oltre quarant'anni fa: “Per creare i presupposti di un gran giro le belle tappe non bastano, serve avere diplomazia e arte di convincimento. I campioni vanno coccolati e convinti, non si sceglie di correre un grande giro solo perché è un grande giro”. Torriani riuscì a portare Bernard Hinault a correre il Giro per tre volte. Li vinse tutti e tre.