Qatar 2022
Il divo Cristiano Ronaldo e i maestri di calcio
Fernando Santos ha disegnato il suo Portogallo attorno a Rúben Neves e Bernardo Silva, coccolando il suo numero 7 per lasciargli i riflettori
In una delle cappelle laterali della cattedrale dell'Assunzione di Maria Vergine di Lamego, nord del Portogallo, c’è un’incisione. Poche parole in volgare lusitano: “Venerate i santi, seguite i maestri di fede”. Chi abbia scolpito quelle lettere e in che secolo non è possibile saperlo, ma non è l’unica testimonianza di questo pensiero. In un manoscritto cinquecentesco conservato all’archivio nazionale di Torre do Tombo a Lisbona appare una frase simile: “Non il santo ti insegnerà la via, ma il predicatore di fede”.
Fernando Manuel Fernandes da Costa Santos, per brevità Fernando Santos, commissario tecnico della Nazionale del Portogallo, ha fatto suo questo concetto e l’ha applicato al calcio. Cristiano Ronaldo, che santo non è, ma un culto misterico a sua immagine e somiglianza l’ha in qualche modo creato, è colui che i fedeli pallonari venerano, ma il ct ha fatto in modo che la squadra seguisse i predicatori, maestri molto più miti di ego rispetto al campione di Funchal. Non poteva fare altrimenti Fernando Santos. È uomo pragmatico il tecnico portoghese. Uno che sa che una squadra non può essere altro che un compromesso tra campioni e gregari, e che proprio per questo serve amalgamare prima l’umore che il gioco. Uno che sa che i primi possono farti vincere una partita, ma sa anche che per dar loro la possibilità di fare questo servono coccole morali e tattiche, e soprattutto uomini capaci di fare quello che i campioni difficilmente fanno: concentrarsi sul bene comune e non solo su quello personale.
Mentre Cristiano Ronaldo reclamava il gol che forse aveva fatto o forse no, in ogni caso di capelli e brillantina, Fernando Santos guardò Rúben Neves e Bernardo Silva. Uno sguardo, due segni con le dita, due cenni d’intesa da parte dei calciatori. Il mediano e il centrocampista hanno diffuso il verbo, la squadra li ha seguiti.
Il primo organizza dal centrocampo in giù, stringe e allenta le corde della retroguardia, il secondo gestisce il gioco d'attacco, lima gli eccessi di estro e giocoleria dei compagni, fa in modo che il talento si leghi a doppia mandata con la razionalità, che la teoria venga accompagnata dalla prassi. Lo fanno quasi scomparendo dalla ribalta, in modo silente, come si confà ai maestri che non si sono voluti trasformare in santoni.
Va sempre così, partita dopo partita. Cristiano Ronaldo segna, sbuffa, chiama e reclama, ma poi gli occhi di tutti i compagni raggiungono Rúben Neves e Bernardo Silva, cercano in loro la via da seguire. La trovano spesso. Magari la decide il numero 7, e quando accade Fernando Santos ne coccola l’ego, lo plaude, ne sottolinea la grandezza, dopo aver cercato in campo gli occhi del numero 18 e del numero 10, come se loro e solo loro siano in grado di capire il suo pensiero, trasformarlo in calcio.