Qatar 2022
Tra il nazionalismo della Serbia e il multiculturalismo della Svizzera ci sono molti franchi
Due buone sqadre con un comune destino, quello delle grandi incompiute. Per anni si è insistito molto sulla rivalità tra i serbi e gli svizzeri di origini balcaniche. C'è, ma l’economia ha creato un’alleanza così solida che non c’è polemica che tenga
Novantuno centimetri al centro, centosette ai lati. L’unica barriera che separa Serbia e Svizzera non si trova in un campo da calcio ma in un altro rettangolo di gioco, quello del campo da tennis. Al contrario dello spirito che si nasconde dietro le rispettive bandiere, la rete divide due interpretazioni dello stesso sport. Tanto geniali, quanto diverse. Djokovic gioca con una regolarità e una maniacalità incredibile, mentre Federer ha voluto esserne un elegante artigiano. Se il serbo vuole essere l’uomo di tutti i record, il campione di Basilea preferisce essere ricordato come un capolavoro in un museo.
Nel calcio non va esattamente allo stesso modo. Non ci sono campioni, solo due buone Nazionali con un comune destino, quello delle grandi incompiute, tipico di chi è più vicino a un’anonima posizione numero 50 della classifica Atp che a una vittoria nello Slam. Eppure non mancano né i talenti né il gioco: Serbia e Svizzera hanno vinto le qualificazioni contro squadre ben più quotate, ma in una fase finale di Coppa del Mondo hanno registrato più delusioni che gioie. A partire dalla loro unica sfida ufficiale, quattro anni fa, a Kaliningrad, che tutti ricordano solo per il gesto dell'aquila albanese, al novantesimo, da parte di Xhaka e Shaqiri. Due cognomi che richiamano la loro origine, tanto vicina, quanto lontana da Belgrado. Fossero nati solo qualche decennio prima avrebbero potuto essere protagonisti nella stessa Nazionale sfidata in Russia. Come del resto l’allora tecnico svizzero, Vladimir Petković, che aveva creato, proprio tra le Alpi, una “multinazionale del calcio” replicando, per paradosso della storia, quell’impossibile equilibrio tra forma e sentimento che era stata la Jugoslavia. I Balcani invece non sono mai tranquilli: l’orgoglio nazionalista serbo è vivo come quello kosovaro. Forse perfino troppo. "I giocatori, alcuni soprattutto, sono già stati indottrinati se così possiamo dire”, ha ammesso Pier Tami, il responsabile tecnico degli svizzeri con passaporto italiano. “Veglierò che sia così perché bisogna concentrarsi solo sul calcio e non sulla politica". Come se fosse facile. Nello spogliatoio di Dragan Stojković, eccezion fatta per una bandiera provocatoria, il gossip sta facendo più danni delle rivendicazioni territoriali. Sui giornali non si parla che di tradimenti e di amicizie in frantumi. La smentita di Vlahovic, se non bastasse, ha violato una delle leggi non scritte della comunicazione, riportando l’attenzione dei media serbi più sulle mogli che sul pallone. I calciatori però non fanno testo, quando non ci arrivano loro ci pensa la real politik.
Siamo onesti, tra serbi e svizzeri non c’è alcuna vera rivalità. L’economia ha creato un’alleanza così solida che non c’è polemica che tenga. I franchi valgono più del tennis e del calcio, Belgrado è diventata il principale partner commerciale della Svizzera nel sud-est dell’Europa mentre il governo di Berna è il sesto investitore straniero in Serbia. I rapporti delle ambasciate mostrano una tale normalità che, a forza di leggere i numeri, sembra che tra le due nazioni si possa ipotizzare più una partita del cuore che una sfida all’ultimo sangue. Alla fine del 2019, in Serbia risiedevano 2544 cittadini svizzeri, molti dei quali con la doppia cittadinanza, mentre sono quasi 300mila i serbi che vivono nei 26 cantoni. Un asse talmente forte che, proprio in questi giorni, Telekom Serbia ha aperto un gestore virtuale in Svizzera. Una storia parellela come quella delle due squadre in Qatar, entrambe figlie del puzzle che è stato costruito dai due staff tecnici. "Ci eravamo prefissati che l'ultima partita contro la Serbia sarebbe stata quella decisiva”, confida ancora Pier Tami. “Ci arriviamo in condizioni migliori rispetto ai nostri avversari, abbiamo quasi due risultati su tre a nostro favore se il Brasile fa il suo dovere". Già, il Brasile. Contro il Camerun non ci dovrebbero essere sorprese, ma se ci fossero Serbia e Svizzera potrebbero ritrovarsi a piangere insieme. Ancora una volta.