1931-2022
È morto Nick Bollettieri, l'inventore di campioni che ha reso grandissimo il tennis
"The coach", il maestro dei grandi, il padre padrone che ha portato il tennis a un livello superiore. Di qualità e di ossessione. Senza di lui non sarebbe esistito Andre Agassi e nemmeno Jim Courier, Monica Seles, Mary Pierce, Boris Becker, Maria Sharapova
Era un campo di pomodori a Bradenton, Florida. Nick Bollettieri nella vita aveva già fatto di tutto, venditore di limonate, guardia del corpo, lavamacchine, infine il maestro di tennis. Per lui era un modo come un altro per fare soldi, tutti potevano essere coach. “Se può farlo chiunque, puoi riuscirci anche tu”, gli disse suo padre. Nel 1956 chiedeva tre dollari all’ora, nel 2014 i dollari erano diventati novecento. Un po’ tanto per una lezione, ma nel frattempo Bollettieri era diventato The coach, l’inventore dei campioni, il maestro dei grandi, il padre padrone che ha portato il tennis a un livello superiore. Di qualità e di ossessione. Senza di lui non sarebbe esistito Andre Agassi e nemmeno Open, l’autobiografia che racconta ciò che c’è dietro la vittoria di uno Slam, l’amore per quello che fai, l’odio per quello che fai, che a volte è più potente dell’amore e comunque ti tiene in piedi.
Era il 1984 e Mike Agassi aveva visto un servizio sull’Accademia nata al posto del campo dei pomodori e sul suo fondatore, definito aguzzino, tiranno. “Buongiorno signor Bollettieri, voglio che lei diventi il coach di mio figlio”. Il resto è letteratura oltre che storia dello sport, otto titoli Slam, la vetta del mondo ma prima di tutto un dialogo in cui l’allievo dice al maestro. “Tu sei il mio fottuto problema, Tu. E se ancora non l’hai capito sei più stupido di quanto sembri. Questo posto è un inferno e io voglio dargli fuoco”. Tutto per sentirsi rispondere: “Così mi piaci”. All’inizio Bollettieri si vergognava, l’élite del tennis lo derideva, per l’abbronzatura perenne ma soprattutto per la mancanza di pedigree: cosa aveva da insegnare un tizio che sapeva a malapena mandare la pallina oltre la rete? Anche i critici avevano le loro ragioni, ma poi ecco fiorire al posto dei pomodori Jim Courier, Agassi appunto, Monica Seles, Mary Pierce, Boris Becker, Maria Sharapova, Marcelo Rios, Anna Kournikova, Mark Philippousis. Il meglio del tennis germogliava lì, in un posto che negli anni non avrebbe fatto altro che crescere fino ad ospitare 52 campi e 215 atleti.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Duemila il problema più grande era l’imbarazzo della scelta. Al Roland Garros del 1990, in una sfida al terzo turno tra le sue punte di diamante, Courier e Agassi, Bollettieri decise di sedersi nel box di Agassi, che vinse. Courier subito disse: “Ho capito che Nick voleva che perdessi, e questo mi ferisce”. Quando volevano criticarlo gli dicevano che era facile allenare i campioni, che il talento non si insegna, e che quelli forti sono forti a prescindere, sono forti sul campo quando sono da soli. Bollettieri è però stato il primo ad avere nel suo staff psicologi, nutrizionisti, preparatori di qualsiasi tipo, non faceva altro che recepire informazioni e annotarsele su un bloc notes. A Mary Pierce un giorno disse: “Ascoltami, tu in campo non sei molto brillante. Anzi, diciamo pure che sei un po’ stupida. Io ti consiglio di non pensare, colpisci la pallina, stop”. Fu così, senza pensare, che nel 1994, arrivò in finale al Roland Garros e vinse gli Australian Open sei mesi dopo. Per tutta la vita ha avuto a che fare con poco più che bambini, talentuosi e viziati, ha vissuto per loro, mai per i loro soldi. “Non ce la faccio” gli disse un giorno il solito Agassi, depresso e incarognito. “Sì che ce la fai. Sai perché non indosso un orologio quando sono con te? Perché non abbiamo fretta. Io starò nel tuo angolo e noi combatteremo per tutto il tempo necessario e alla fine vinceremo noi”. “Lo pensi davvero?” “Con tutto il mio cuore”. Agli inizi non sapeva distinguere un’impugnatura da un’altra ma sapeva che i vecchi ai giovani devono regalare una cosa soltanto: la fiducia in sé stessi.