Foto Ap, via LaPresse

qatar 2022 - facce da mondiale

Il calcio da videogioco di Son Heung-min

Giovanni Battistuzzi

La bravura e le capacità tattiche del capitano della Corea del sud vengono spesso sottostimate in Europa. A Seul è però un mito e nei videogiochi apprezzatissimo (soprattutto a Pes, quando c'era Pes)

Avesse visto giocare Son Heung-min, George Best non l’avrebbe descritto come descrisse David Beckham: “Non usa il sinistro, non sa colpire di testa, non sa fare un contrasto e non segna molti gol. Ma a parte questo è un buon giocatore”. Parecchio ingeneroso come giudizio, ma non poteva essere diversamente. La maglia numero 7 del Manchester United George Best la sentiva propria e l’avrebbe voluta sempre su schiene di giocatori a sua immagine e somiglianza, o per talento (Cristiano Ronaldo) o per indole (Paul Ince) o per ambo le cose (Eric Cantona). David Beckham era solo troppo di buone maniere, troppo fighetto, coi capelli troppo curati per uno come lui. Nemmeno Son Heung-min, probabilmente avrebbe entusiasmato George Best, però il coreano il sinistro lo usa, sa colpire di testa, sa fare i contrasti e segna molti gol. Eppure spesso è ancora considerato un intruso nel circolo esclusivo dei grandi giocatori.

 

Ce lo si dimentica spesso Son Heung-min. E sì che quando si guarda una partita della Corea del sud o più facilmente del Tottenham, si capisce subito, bastano poche azioni, perché in campo un posto in squadra lo trova sempre. Eppure anche in Inghilterra, dove gioca, se lo filano poco, pochissimo e regolarmente lo lasciano fuori dalla formazione ideale che la Professional Footballer’s Associations stila stagione dopo stagione. C’è entrato solo una volta, al termine della stagione 2020-2021: 37 partite giocate, 17 gol, 10 assist e partecipante all’azione in 39 dei 68 gol segnati dal Tottenham. Scrissero che aveva raggiunto la vetta della sua crescita calcistica, che ripetersi sarebbe stato difficile, impossibile. Si ripeté, fece meglio addirittura: 35 gare, 23 gol, capocannoniere alla pari di Mohamed Salah, 9 assist. Non abbastanza però per entrare nell’undici ideale. Pazienza, c’hanno sempre avuto un po’ la puzza sotto il naso gli inglesi, e forse è stata la loro benedizione: non si crea il campionato più bello al mondo con la faciloneria.

   

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Frega poco o nulla a lui, Son Heung-min, essere poco considerato dalla Pfa, visto che sugli spalti del Jimmy Greaves Stadium (o New White Hart Lane; altra cosa, altro fascino il White Hart Lane), risuona il suo nome e ogni volta che torna a casa, in Corea del sud viene trattato da divo, più conosciuto e benvoluto, almeno secondo Forbes Korea, di “Parasite” e di “Squid Game” e dietro solo i Bts e le Blackpink, che fanno K-pop. Riuscisse, da capitano, a trascinare la Nazionale coreana alle semifinali del Mondiale in Qatar, bissando così vent’anni dopo il risultato della Coppa del mondo 2002, lo eleverebbero a eroe nazionale, propheta in patria. Ancor più dei "ragazzi del '56", i primi coreani a giocare una Coppa del mondo.

 

C’è un altro luogo però dove Son Heung-min è parecchio apprezzato, un luogo che esiste anche se non esiste, ma è molto più reale di tante cose che appartengono alla realtà sportiva. Tra il 2018 e il 2020 il calciatore coreano è stato tra i calciatori più acquistati nella Master League – la modalità carriera, quella che unisce al gioco una dimensione manageriale – delle varie edizioni di Pes, il videogioco della Konami. A far la somma delle transazioni, il più acquistato in assoluto. Un po’ perché costava meno (per costo del cartellino e ingaggio) dei grandi fenomeni del calcio mondiale, soprattutto perché Son Heung-min era, è, il giocatore perfetto per Pes: fisicamente ben messo, abile con tutti e due i piedi, capace di giocare ovunque in attacco, soprattutto dotato di un buon tiro, veloce e abile a fare finte in velocità.

 

Sostenere che i videogiochi di calcio non siano il calcio è corretto, eppure errato. Perché i videogiochi di calcio sono una parte ormai del calcio, sono fatti della stessa sostanza di questo sport, quello dell’immaginazione che si tramuta in giocata, in esistenza: una realtà parallela che vive di riflesso a quella principale, ma ha una dimensione autonoma, una sua grammatica e una sua semantica. E’ mica cosa da poco essere apprezzati nei videogiochi. Forse non produrrà contratti e non favorirà premi, ma in questi ultimi decenni i videogiochi sono riusciti a renderci sopportabile la distanza sempre maggiore di noi tifosi dai calciatori e dalle logiche dell’industria calcio.