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qatar 2022

Viaggio ai confini di Marocco-Spagna

Andrea Trapani

Gli exclave di Ceuta e Melilla e una generazione di calciatori cresciuta nella penisola iberica. Se questa partita non sarà una partita come le altre, non è colpa della politica. L’obiettivo è solo sportivo: portare ancora una volta una squadra africana tra le prime otto di un mondiale.

I confini sono tracciati per creare differenze, per distinguere un luogo dal resto dello spazio. Non è facile vedere tutte queste diversità quando lo spazio è assolutamente identico, come quello di un campo da calcio. Sebbene il pallone sia uguale per tutti, in Qatar abbiamo vissuto tante storie che ci hanno dimostrano quanto sia difficile dimenticarsi, in soli novanta minuti, di certi equilibri storici e politici.

   

Ci sono delle eccezioni. Nel caso di Spagna e Marocco, citando Zygmun Bauman, l’aver creato delle differenze con i confini significa aver modificato le probabilità, rendendo certi eventi più probabili e altri meno, se non addirittura impossibili.

 

Basti pensare alla vita del numero 12 marocchino, Munir Mohand Mohamedi, diventato famoso in questi giorni perché ha sostituito il portiere titolare dopo l’inno nella sfida contro il Belgio. Munir è il simbolo della fragilità delle barriere tra gli stati: nato a Melilla, è cresciuto calcisticamente nell’altra exclave, Ceuta, diventando, grazie alla Spagna che lo ha allevato, un giocatore della nazionale marocchina. Non esistono confini, almeno nel calcio. Anche il portiere titolare, Bounou, a 21 anni ha lasciato Casablanca per iniziare una specie di Vuelta a España tra Atletico Madrid, Saragozza, Girona e Siviglia.

  

In una squadra che pesca, a piene mani, dalle storie dei propri migranti in Europa, tante sono legate proprio alla Spagna. Quella di Abde Ezzalzouli spegne ogni tensione visto che è cresciuto nel settore giovanile dell'Hércules, ad Alicante, dove la sua famiglia si era trasferita quando lui aveva appena sette anni. Che dire del talentuoso Youssef En-Nesyri? Nell'estate del 2015, dopo avere iniziato a giocare a calcio in patria, si trasferisce a Malaga per iniziare una carriera piena di soddisfazioni. Senza dimenticare Achraf Hakimi che è nato a Madrid ed è cresciuto proprio nella cantera del Real: di lui conosciamo già tutto, talmente promettente che la federcalcio marocchina decise di farlo esordire con la maglia della nazionale a soli 17 anni.

  

Il percorso inverso è stato invece affrontato molto più raramente. Non c’entrano i contrasti territoriali, la motivazione è assai semplice: il calcio europeo paga molto di più. Con un po’ di pazienza si riesce a trovare uno spagnolo tra i tanti tecnici arrivati dall’estero per guidare la panchina marocchina: si tratta del giramondo Sabino Barinaga che, nel 1972, guidò i “Leoni dell’Atlante” per la prima volta alla fase finale di una Coppa d’Africa.

   

Le belle storie però si scontrano con la realtà. Per la polizia spagnola la partita con il Marocco è ad alto rischio per l’ordine pubblico, il timore di replicare gli incidenti di Bruxelles è concreto. Dire che l’ultima sfida tra le due squadre, nel mondiale di Russia, regalò solo grandi sorrisi alle furie rosse che, due volte sotto, trovarono il pareggio al 91' con un gol di tacco di Iago Aspas. I timori di incidenti non vengono dal campo ma dal difficile rapporto, in alcune Comunidad spagnole, con la numerosa comunità marocchina che vive e lavora nella penisola iberica. Troppo ingombranti, dicono alcuni cinici politici locali, come se la Spagna non fosse altrettanto presente nel Nord Africa. Non è il caso di scaldare gli animi, le recriminazioni sono bipartisan. In queste ore comunque è vietato parlare delle due exclave di Ceuta e Melilla, a cui si somma l’esiguo confine di 75 metri terrestri del Peñón de Vélez de la Gomera: le due città fanno parte delle cosiddette “plazas de soberanía” della Spagna e, dall'indipendenza del Marocco, questa disputa territoriale si è riaccesa di tanto in tanto, in particolare nel 1975, quando si è temuta un'altra invasione dei territori spagnoli simile a quella condotta nell'anno precedente nel Sahara Occidentale.

  

Insomma, se Spagna-Marocco non sarà una partita come le altre, non è colpa della politica. L’obiettivo è solo sportivo: portare ancora una volta una squadra africana tra le prime otto di un mondiale. A Rabat ci credono e fare uno sgarbo alle ambizioni di Madrid non sarebbe niente male.

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