Qatar 2022
Dagli ottavi in poi al Mondiale vince chi è consapevole della propria forza
In Qatar il livello delle otto squadre rimaste è omogeneo (con qualche Nazionale più omogenea delle altre), la differenza la farà chi per storia recente e motivazione dalla panchina riuscirà a inculcare soggezione anche al di là del blasone, e di dominare la psiche avversaria
Dove finisce il rosso, dove comincia il verde. Una splendida giornata di calcio ha premiato col passaggio del turno le maglie complementari di Marocco e Portogallo, assieme a tutte le favorite meno una. Dove comincia il rosso, dove finisce il verde: il semaforo dà via libera a chi lo ha meritato in partita, senza ricorsi alla bieca fortuna, anche quando a decidere sono stati i rigori. Più che sorprese, rivoluzioni.
Un’intera diaspora, e il tifo del mondo, stanno spingendo i nordafricani a dimostrare di non essere caso, né eccezione: un portiere-simbolo come Bounou, libertà creativa nella trequarti, le salide lavolpiane di Amrabat per proteggere i due affiatati difensori centrali Aguerd e Saïss, aprendo le fasce a terzini – termine riduttivo – intercambiabili e “sarriani”, titolari nel Paris Saint-Germain e nel Bayern, per natura parte di un contesto calcistico differente da quello del Terzo Mondo.
Di contro la Spagna è mancata in volontà di aggredire la partita, pensando che prima o poi l’avrebbe risolta: mai come in questo Mondiale le proprie referenze vanno praticate, a pena di far autoavverare profezie che montano. Presto sgasati dopo il 7-0 a Costa Rica e la profusione di energie contro la Germania, per gli iberici il palo di Sarabia al 123° varrà sempre l’occasione di Baggio prima dei rigori di Italia-Francia ‘98.
Quanto piccola la porta per chi tira dal dischetto, tanto grande lo spazio tra i pali per chi vi sta in mezzo: convenevoli affettuosi tra avversari provano a sciogliere la tensione. Non ne ha avuto bisogno il Portogallo, al quale è saltato il tappo di tanto talento: il botto ha un nome e un cognome, ed è brutto dirlo nel 2022, ma doveva succedere. I giovani sono stati liberati, Fernando Santos ha capito che non poteva più aspettare: se l’Argentina è di Messi, i lusitani prescindono da Cristiano Ronaldo. I media lucrano sopra la sua rendita residua, ma nel presente esplode Gonçalo Ramos, manco titolare fisso nel Benfica ed esordiente in Nazionale solo venti giorni fa.
Sacchi direbbe “un Mondiale intenso”, disputato sul piano della condizione mentale. Agli ottavi di finale chi parte a razzo, con gli occhi della tigre che non hanno portato fortuna a Enrico Letta, viene premiato rispetto ai temporeggiatori: se nei gironi conta il posizionamento, e nella testa dei giocatori scatta l’idea della recuperabilità di una partita nei novanta minuti o nei successivi, ora sono rimaste squadre che devono controllare la consapevolezza della propria forza. Ciò potrebbe decidere lo stratosferico quarto tra Francia e Inghilterra, finale anticipata più delle altre: i transalpini sanno di potersi affidare a Mbappé (oggi il miglior giocatore al mondo), gli inglesi devono rimuovere mentalmente decenni di sconfitte all’ultimo tuffo.
Partire proiettati in avanti, a chiarire le proprie intenzioni: come il Portogallo lo ha fatto il Brasile-playstation nel festival dei colori primari con la Corea del Sud. Un solo mediano (e che mediano, Casemiro), la dinamite nei piedi della Seleção 1982 – addizionata di una velocità da joypad che allora non sarebbe stata pensabile – e il dominio cerebrale sciorinato anche nelle danze collettive dopo ogni gol, per dire agli avversari: “Ci stiamo divertendo”. Il Giappone invece, ancora un po’ “sgrammaticato” calcisticamente, dietro gli striscioni da arcade aveva voglia da vendere e uno spirito punk contagioso: ma non ha capito fino in fondo – né fatto capire agli avversari, la Croazia aveva tutto da perdere – di potersi appropriare del successo prima con la testa e dopo coi piedi.
Venerdì e sabato aspettano corsi e ricorsi: Brasile-Croazia profuma di futebol bailado, Olanda-Argentina un regolamento di conti mai finito, Francia-Inghilterra è magnifica classicità, Portogallo-Marocco tinte forti e sangue caldo. Se il livello è omogeneo, la differenza la farà chi per storia recente e motivazione dalla panchina riuscirà a inculcare soggezione anche al di là del blasone, e di dominare la psiche avversaria più di quanto faccia il jingle di Fiorello con le telespettatrici e i telespettatori.