Qatar 2022
Dov'è finita la Serie A nei quarti di finale di Qatar 2022?
A dispetto di tutti gli abbozzi di imbucarci alla festa, gridando “c’è anche un po’ d’Italia in Qatar”, sono proprio gli atleti che militano nella massima divisione calcistica italiana a latitare nei quarti di finale iridati
Ricordate il campionato? Sì, la Serie A di calcio. Quel torneo a spizzichi e bocconi, che occupa aperitivi indifferenti, pizze del sabato, sonnacchiosi dopopranzo domenicali e pure gelidi e nebbiosi lunedì sera subalpini. Qualcuno forse lo ricorda, nei mesi scorsi, quando l’edizione straordinaria dei Mondiali non aveva preso il sopravvento quotidiano, verso i quarti di finale più qualitativi e avvincenti di sempre, fino alle soglie del Natale.
Ma se nelle ultime settimane la Serie A e il suo tentativo di normalizzare allenamenti, amichevoli, opzioni di mercato ricavano solo brevi di cronaca e quattordici secondi d’interesse nello scroll delle notizie, non è solo perché ubi maior minor cessat. A dispetto di tutti gli abbozzi di imbucarci alla festa, gridando “c’è anche un po’ d’Italia in Qatar”, sono proprio gli atleti che militano nella massima divisione calcistica italiana a latitare nei quarti di finale iridati.
Si contano infatti nelle dita di una mano, infatti, gli atleti stipendiati dai club italiani che siano anche titolari in Qatar: lo straripante Denzel Dumfries che pare essere più a suo agio nell’Olanda rispetto all’Inter; il suo compagno di squadra Marcelo Brozović, appena meno impattante nella Croazia per la presenza di ulteriori creatori di gioco; Theo Hernández, Adrien Rabiot e Olivier Giroud, loro sì infrastruttura portante dei successi transalpini.
Aggiungendo lo juventino Danilo, finora a mezzo servizio nel prorompente Brasile, tutti gli altri convocati ancora presenti si giocano al massimo scampoli di considerazione. Vale per Rafael Leão, finora cambio ammazzapartite per il Portogallo, nonostante un bel gol ai danni del Ghana; a maggior ragione per Paulo Dybala, che in campo non è ancora sceso un minuto, e per il suo compagno di nazionale Lautaro Martínez, partito titolare ma tartassato dalla fiscalità del guardalinee automatico, infine sorpassato in corsia dal più concreto Julián Álvarez. Che, giustamente, sverna nei lidi danarosi del Manchester City.
Tutti gli Ángel Di María (a mezzo servizio) deve ancora accendersi, Mario Pašalic non sta replicando l’Europeo né la sua immanenza nei tabellini dell’Atalanta, Nikola Vlašic scalda la panchina come Martin Erlic, Leandro Paredes non sposta alcun equilibrio – e gli viene ormai preferito Enzo Fernández – mentre Bremer già sapeva che sarebbe stato di rincalzo, i due olandesi Stefan de Vrij e Teun Koopmeiners pure. Se Sofyan Amrabat ha avuto la chance di rimpinguare il numero degli “italiani” imprescindibili, non lo stesso si può dire di Abdelhamid Sabiri (anche partecipando al primo gol marocchino che ha aperto il Belgio) e Walid Cheddira, o di un Rui Patricio probabilmente non inferiore al titolare Diogo Jota. Senza contare, non può passare sotto silenzio, che nella convincente Inghilterra non milita alcun calciatore tesserato in Italia.
Inoltre, e soprattutto, dalla Serie A sono partiti in circa trenta tra coloro che vengono ancora nominati da protagonisti nelle telecronache di questi giorni: solo per citarne alcuni, Ivan Perišic e Marquinhos, Achraf Hakimi e Alvaro Morata, João Cancelo e Bruno Fernandes, fino a Papu Gómez, Rodrigo de Paul e ovviamente Cristiano Rolando. Nomi che bastano da soli a consolidare l’idea che ormai – come per molti migranti economici – la penisola è solo terra di transito, da cui andarsene il più presto possibile: il centrale del Brasile era addirittura diciottenne.
L’assenza della Nazionale di Mancini dalla competizione corrobora il quadro, senza minimamente contraddirlo: dal 4 gennaio, quando torneremo ad appassionarci alle rispettive squadre del cuore, riavremo magicamente intatta la pre-convinzione e la consapevolezza che stiamo comunque seguendo un calcio diventato ormai “minore”, se non marginale. Allo stesso livello del campionato portoghese o di quello olandese, o belga. L’avessero detto al bambino che riceveva in regalo l’almanacco Panini 1983-84 o all’adolescente magnetizzato dalle “sette sorelle” negli anni Novanta, mai avrebbe creduto che nell’età della ragione il “suo” calcio non avrebbe contato quasi più niente.