Qatar 2022
A jogar bonito si strappano applausi. Poi passa la Croazia
Croazia-Brasile 1-1 sul campo e 4-2 dal dischetto è la certificazione algebrica che sommar dribbling, ricami, tiri in porta e lontani dalla porta, 9-21, vale meno di un palo di Marquinhos. Per Modric poteva essere l'ultima partita ma la Coppa del mondo probabilmente non era pronto a salutarlo
A jogar bonito si strappano applausi e magari qualche uau dagli spalti, ma serve avere l'accortezza di segnare parecchi gol, almeno uno in più degli avversari, perché altrimenti, in una partita secca dentroofuori, si finisce in quella sospensione del tempo e del gioco che sono i rigori. E lì serve essere bruttisporchiecattivi, serve nient'altro che questo. Va così il calcio.
Il Brasile forse joga un po' meno bonito di qualche anno fa, ma la tendenza è quella. Il dribbling è pratica diffusa, ricercata e, forse, dovuta; la giocata catartica è necessità, dovere, simbolo di un modo di intendere il calcio.
A far ricami però si rende il tessuto meno forte e incline agli strappi. E un vestito si rovina sempre quando non è il caso che si rovini, tipo a una festa. Erano tutti più o meno sicuri che il quarto di finale contro la Croazia potesse, dovesse, essere una festa. Poi ce ne sarebbe stata un'altra, infine l'ultima, quella più grande e appagante, quella dopo la finale dei Mondiali in Qatar. Ci sarà nessuna celebrazione. La festa alla Nazionale brasiliana di Tite gliela hanno fatta i croati ai rigori, proprio in quel tempo e gioco sospeso nel quale a jogar bonito non serve a nulla.
Croazia-Brasile 1-1 sul campo e 4-2 dal dischetto è la certificazione algebrica che sommar tiri in porta e lontani dalla porta, 9-21, vale meno di un palo di Marquinhos.
In semifinale ci doveva andare Neymar e compagnia per dimostrare a tutti che vent'anni senza un successo dei verdeoro ai Mondiali sono un lasso di tempo troppo ampio, perché è il loro, dicono, il calcio della gioia della felicità della bellezza. In semifinale ci andrà invece la Croazia semplicemente perché non poteva essere venerdì 9 dicembre il giorno nel quale si salutava l'ultima partita mondiale di Luka Modric. Probabilmente non era pronta la Coppa del mondo a salutarlo, si è mai pronti a salutare un giocatore del genere, uno a cui non serve una finta in più per dimostrare il proprio enorme talento geometrico e calcistico.
Hanno raccontato e soprattutto narrato che i Balcani erano il Brasile d'Europa, per la raffinatezza del tocco, la creatività delle giocate, la tendenza a divertire. È andata così per anni, ma fino a un certo punto, perché valeva una regola: dalla metà campo in su si ricama, ma dalla metà campo in giù c'è solo da menare e menare forte. Era un calcio strano quello slavo, a volte strambo, capace di divertire e quindi perdere, perché c'è da essere seri in campo, sorridere poco e correre tanto. Soprattutto vincere. Come facevano un tempo i tedeschi che sembravano sempre incazzati, sorridevano mai e vincevano spesso. Vanno mica bene ora i tedeschi. Va meglio ai croati, molto meglio. Era stato d'altra parte proprio il ct Zlatko Dalic nel 2017 a mettere in chiaro che “farsi applaudire per la qualità del gioco non serve a nulla. Mi accontento di due applausi in meno e di un gol in più. Soprattutto voglio vedere in campo la cattiveria di certo calcio del passato, dove esisteva la regola che la gamba non la si tira indietro mai e che se la maglia a fine partita deve essere sporca e sudata”. Quatto anni fa fu finale, in Qatar chissà, sicuramente c'è ancora una partita con Modric in campo da poter guardare.
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