Foto Epa, via Ansa

qatar 2022

La regola di Louis van Gaal

Giovanni Battistuzzi

Quasi nessuno prendeva sul serio gli olandesi a questi Mondiali in Qatar. Contro l’Argentina si giocano l’accesso alle semifinali. La dottrina del ct olandese vuole sotterrare definitivamente l'eresia degli ultimi sessant'anni di calcio oranje

Un po’ ci gode, c’ha sempre goduto, a fare l’uomo Denim del calcio, quello che non deve chiedere mai. Non chiede, non ha mai chiesto, s’è sempre limitato a fare, soprattutto disfare, senza neppure dover mai spiegare cosa stava facendo e disfacendo. Quello di Louis van Gaal è un soliloquio che dura da oltre trent’anni. Il suo è un dramma poetico sul calcio, sulla sua idea di calcio e forse sull’idea che ha di se stesso. Un’idea enorme, un ritratto di cavaliere errante, un don Chisciotte dell’Olanda: i mulini a vento fanno molto Paesi Bassi.

  

Non ha spiegato o chiesto nemmeno questa volta. Ha preso la Nazionale olandese in crisi di risultati e di autostima dopo il fallimento di Frank de Boer all’Europeo, poi vinto dall’Italia. Ha detto ai giocatori che comandava lui e che avrebbero dovuto fare quello che avrebbe indicato loro, che ogni personalismo sarebbe stato bandito. Insomma: o fate come dico io o siete fuori. Lo hanno seguito. Quasi nessuno prendeva sul serio gli olandesi a questi Mondiali in Qatar. Contro l’Argentina si giocano l’accesso alle semifinali. Certo Senegal, Ecuador, Qatar (nel girone) e Stati Uniti non erano avversari insuperabili, ad altre nazionali però è andata peggio e la ragione sta sempre con chi vince.

 

E’ a suo modo un puro, Louis van Gaal, uno che non è mai sceso a patti con nessuno. Già al corso per diventare allenatore andava dicendo in giro che il “totaalvoetbal” – la rivoluzione calcistica “oranje” iniziata verso la metà degli anni Sessanta da Rinus Michels – era un passato che odorava di stantio: per avere un futuro serviva dimenticarsene. Era il 1987. Ci mise un po’ a distruggere il passato. Prima lo attualizzò destrutturandolo. E vinse molto: campionati e coppe olandesi, soprattutto una Champions League (e una Coppa Uefa) con l’Ajax.

 

Quell’Ajax, l’ultima versione vincente in Europa dei Lancieri, fu la dimostrazione che si può rendere felici i tifosi anche distruggendo tutto ciò a cui avevano creduto e apprezzato. A patto di avere giocatori di talento disposti a tutto pur di perorare una causa, quella di un uomo che a poco più di  quarant’anni già andava predicando il suo credo alla maniera di quei santoni carismatici che non si mettono mai in discussione ma si seguono con cieca fiducia.

 

Una fiducia imposta da un uomo tanto burbero e spigoloso, al limite dell’antipatia, con la stampa e gli addetti ai lavori, quanto capace di entrare in simbiosi con i propri calciatori. Raccontò nel 2019 Winston Bogarde, difensore di quell’Ajax, che “eravamo un corpo solo e una testa sola: la sua. Eravamo così forti perché sapevamo di poterci fidare ciecamente l’uno dell’altro: tutto era scritto, dovevamo solo rispettare lo spartito”. Non è sempre andata così, ma non è mai importato nulla di tutto ciò a van Gaal.

   

Il ct era, è, un uomo che non vuole essere capito, vuole essere soltanto seguito. E in silenzio. E’ un dittatore socialista, convinto che nulla esiste fuori dal gruppo e che non c’è gruppo senza disciplina. La sua. Ha costruito le sue vittorie – ha vinto ovunque è andato; Ajax, Barcellona, Az Alkmaar, Bayern Monaco, Manchester United, anche se solo una FA Cup – mettendo al centro di tutto la solidità difensiva in una nazione che dagli anni Sessanta in poi ha sempre pensato soprattutto ad attaccare. E mentre compiva questo ribaltamento storico e prospettico predicava che attacco e difesa sono concetti superati e che nel calcio, quello vero – il suo – non c’erano difesa e attacco, ma controllo dello spazio. E poi circolazione del pallone. E’ colpa di van Gaal se è tutto un parlare di spazi nel calcio europeo. Ha rinnegato il totale e abbracciato il particolare, ha ripudiato la libertà e l’ha sostituita con la disciplina totalitaria, ha estirpato l’individuale ergendosi a burattinaio. Ora gli manca l’ultimo passo: cancellare del tutto l’eresia del calco olandese che fu e imporre definitivamente la sua regola vincendo la Coppa del mondo. Non ci crede nessuno. Lui potrebbe rispondere: “Lo pensate impossibile perché siete menti semplici. Io vedo più in là del mio naso”. Lo ha già detto. Era il 1991.