qatar 2022 - facce da mondiale
La promessa di Sofyan Amrabat
Ai Mondiali il centrocampista del Marocco gioca con il 4 sulle spalle, ma il suo numero è il 34 e racconta una storia: quella di Abdelhak Nouri
Sulla schiena ha il numero 4, una maglia che indicava il mediano incontrista nel “calcio che fu”. Parliamo di quel gregario destinato a riconquistare palloni su palloni, il cui nome difficilmente entra nella storia. Non sempre è così. Sofyan Amrabat vuole essere l’eccezione a questa regola. Il calcio è cambiato, il giocatore che ha il compito di presidiare la zona davanti alla difesa è diventato una cosa diversa ma è rimasto con un ruolo non facile da svolgere e non sempre riconosciuto. In realtà, Amrabat non è neanche un vero 4 e non solo per le necessità tattiche del calcio europeo che gioca il suo Marocco.
Il suo numero è il 34 e racconta una storia, quella di Abdelhak Nouri, celebrata anche dopo la vittoria negli ottavi. Una vita simile, entrambi nati e cresciuti in Olanda da genitori marocchini, accomuna i due giocatori sebbene il talento li abbia portati ben presto su strade diverse. Due predestinati che nel calcio sono stati avversari. Nouri è cresciuto nell’Ajax, Amrabat nella squadra rivale dell’Utrecht. I due sgomitano per emergere, ce la fanno e appena maggiorenni entrambi hanno già esordito in Eredivisie. Tutto bene fino all'8 luglio del 2017, quando Nouri, con il numero 34 dei lancieri sulle spalle, si sente male durante un’amichevole contro il Werder Brema. Da lì, il buio totale: un ictus lo porta in coma, per tre anni, nel momento migliore della carriera. Una lunga sofferenza per tutti. Nel frattempo Amrabat non si si dimentica dell’amico, anzi. Al suo arrivo in Italia, con la maglia del Verona, indossa proprio il 34. Arrivato a Firenze ribadì la sua volontà: “Ho scelto questo numero per Nouri dell'Ajax”, disse ai giornalisti con il suo approccio gentile. “È ancora vivo ma non può vivere come lui vorrebbe. Vorrei tenere il 34 il più a lungo possibile, fino alla fine della mia carriera". Ai Mondiali però non può averlo, le regole sono severe e la numerazione si ferma al 26.
Non si ferma invece la sua ascesa. In Italia si mette talmente in luce con Ivan Juric che il presidente della Fiorentina se ne innamora subito. Rocco Commisso gli regala un nuovo palcoscenico, una piazza tanto ambiziosa quanto brontolona. A Firenze soffre per tutta la prima stagione, nascondendo dietro al suo sguardo serioso una grande voglia di riscatto. Lo deve a se stesso, lo deve a Nouri. Sarà un caso, ma la scintilla scocca proprio nel giorno di San Valentino. Lo scorso 14 febbraio Vincenzo Italiano, per l’assenza di Torreira a La Spezia, mette Amrabat al centro del suo progetto di gioco. Una scommessa? Forse no. Sembra andare tutto male, da una leggerezza di Sofyan arriva il pari spezzino ma nel finale un suo gol regalerà tre punti fondamentali per la corsa europea. Da allora Amrabat è diventato un altro, trasformandosi da ignoto mediano a protagonista.
Chiamato ad essere regista dell’orchestra sinfonica fiorentina, nel suo percorso incrocia altre storie, creando un bizzarro connubio tra il suo carattere schivo e l’esuberanza dei suoi amici. A partire da Riccardo Saponara, un talento che è sbocciato a Firenze quando i più se lo stavano per dimenticare. Così, Sofyan e Ricky, tanto diversi per ruolo quanto indistinguibili per chi li guarda dagli spalti, hanno percorso assieme la strada della rivincita.
In Qatar invece Amrabat è ben visibile, in vetrina a sua insaputa, mentre i procuratori di mezza Europa hanno messo gli occhi su di lui. Dice di stare bene in Toscana ma intanto deve raggiungere ancora un traguardo: portare la sua Nazionale in semifinale. Per farlo offre forza fisica e pressing asfissiante. Un mix tra tenacia e caparbietà, chiedere a Modric, De Bruyne o Pedri che se lo sono trovati di fronte. E ogni volta che è stato chiamato in cabina di regia, lui che regista non è, si è adattato senza fiatare. Certo, il suo forte restano i duelli e il tempismo nelle entrate. Contro la Spagna le ha indovinate tutte, quattro su quattro. Non sono solo statistiche, nei suoi numeri c’è anche il futuro di quel Marocco che gioca con la sua stessa temeraria passione.