I tifosi della Francia e del Marocco festeggiano a Parigi le rispettive vittorie ai Mondiali, sotto gli occhi della polizia (Ansa)

Qatar 2022

Francia-Marocco, la bellezza (o l'illusione?) del  vivre-ensemble

Mauro Zanon

La semifinale del Mondiale, vista da Parigi, è anche la sfida la tra la République e i suoi figli, che in terra transalpina si sono formati prima di scegliere la squadra nordafricana. E ripropone il dibattito sul modello di società, tra ottimisti dell'integrazione e chi invece teme la francofobia del mondo arabo e incidenti per le strade

Parigi. Il primo pensiero di Leïla Slimani, premio Goncourt nel 2016 con il romanzo “Chanson douce”, è rivolto al padre Othman, morto nel 2004, che nella sua vita di economista e alto funzionario fu anche presidente della Frmf, la federazione calcistica del Marocco, nel periodo in cui il paese maghrebino che sta estasiando tutti ai Mondiali del Qatar vinse la sua unica Coppa d’Africa (1976). “Era un appassionato di calcio. Io stessa sono nata durante una partita. Mio padre ha fatto aspettare mia madre per andare a partorire. Non voleva che ce ne andassimo prima della fine della partita. Sono nata nel calcio, come Obelix è caduto nel paiolo”, ha raccontato al Journal du dimanche la romanziera di Rabat.

 

Leïla Slimani ha ricevuto un’educazione francofona e francofila, ma fa parte di quegli intellettuali con doppio passaporto che non riescono a scegliere tra Marocco e Francia, che mercoledì sera si sfideranno per un posto in finale: perché è come scegliere tra la madre e il padre. “Il Marocco è la squadra del mio cuore, ma sarei comunque felice se vincesse la Francia”, dice la scrittrice. Taglia corto sui possibili disordini per le strade delle capitali occidentali originati da frustrazioni e ferite mai veramente ricucite: mettendo in luce invece il grande calore umano mostrato dalla stragrande maggioranza della comunità marocchina e la felicità incontenibile per una squadra che “non gioca soltanto per il Marocco, ma per tutto un continente”. Lo ha sottolineato anche Tahar Ben Jellun, scrittore e intellettuale nato a Fès quando il Marocco era ancora un protettorato francese e consacrato nell’empireo della letteratura contemporanea dopo essere emigrato a Parigi. La vittoria del Marocco, ha detto Ben Jellun su Europe 1, ha unito se non tutto un continente, quantomeno “il mondo arabo”: c’è un sentimento di orgoglio, un’union sacrée, una forma di identificazione dell’intero Maghreb nel Marocco, che sfocerà in una festa gioiosa in caso di vittoria dei leoni dell’Atlas

 

E’ più pessimista, invece, Alain Finkielkraut, filosofo e membro dell’Académie française, da sempre critico verso l’importazione in Francia del modello multiculturale anglosassone, che dietro gli scontri avvenuti a Bruxelles e in parte a Parigi dopo la vittoria del Marocco ai quarti di finale contro il Portogallo, vede “l’illusione del vivre-ensemble” andare in frantumi. “Sono un po’ triste, naturalmente, per gli incidenti verificatisi in seguito alla vittoria del Marocco e molto preoccupato per la partita contro la Francia di mercoledì. Cosa accadrà? Temo che l’illusione del vivre-ensemble in cui la stampa benpensante ci fa vivere subirà un duro colpo, perché oggi ci sono dei tifosi che, non paghi di celebrare la vittoria del loro paese d’origine, colpiscono, distruggono e saccheggiano qualsiasi cosa”, ha dichiarato Finkielkraut. Gli incidenti avvenuti per le strade francesi sarebbero per il filosofo anche “un’ulteriore prova che la francofobia è un sentimento sempre più diffuso”. Il presidente francese, Emmanuel Macron, più degli scontri, teme lo scherzetto dei ragazzi di Walid Regragui: sarebbe una nemesi troppo dolorosa per la République, battuta dai figli che ha formato e coccolato (dieci su ventisei sono nati e cresciuti in Francia), ma hanno scelto di difendere i colori del Marocco.