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Maradona è il derby dei croati d'Argentina
Argentina e Croazia sono più vicine di quello che le carte geografiche dicono. Storia di immigrazione, porti, campi e origini dalmate del Pibe de oro
Dimenticatevi il mappamondo, Argentina e Croazia sono davvero vicine. Non ignoriamo le migliaia di chilometri che le separano, ma neppure il loro primo incontro su un campo di calcio che, scrivono gli almanacchi, fu nel giugno 1994, in un’amichevole senza reti in segno di amicizia.
Una storia collega i due paesi tra narrazione e orgoglio nazionale. Proprio il pallone viene usato per avvicinare il vanto di due popoli: Diego Armando Maradona, si racconta con orgoglio, era nipote di Salvadora Kariolić, figlia di Matej Kariolić e Trinidad Creole Ferreira. Una nonna croata per “El Diez”. Forse no, visto che all’epoca si era in Dalmazia e la popolazione era ben diversa da quella odierna. Comunque sia è una storia che va al di là del mito, il sangue croato è davvero ben presente in Argentina. La città di Rosario ha dato i natali a Tomás Felipe Carlovich, noto come “El Trinche”, divenuto famoso per il suo "tunnel in avanti e indietro", una specie di firma che sommava l’estrosità argentina alla talentuosità degli avi.
Quella dei croati in Sud America è una storia che parte da lontano. Tra i primi ad attraversare con successo l’Atlantico fu Nikola Mihanovic, arrivato a Montevideo nel 1867, per poi stabilirsi a Buenos Aires dove, ad inizio 1900, era arrivato ad avere 350 navi e ad impiegare 5.000 persone, principalmente dalla nativa Dalmazia. Il solo Mihanovic fu un fattore importante nella costruzione di una comunità croata che nacque principalmente dalmata. Gli eredi della prima ondata di migrazione sono rimasti nella cultura argentina, anche a livello politico.
Per vedere crescere la loro presenza bisogna attendere la seconda ondata che fu assai più numerosa, si parla di ben 15.000 arrivi nel 1939. I nuovi arrivati, per lo più contadini, scoprirono quanto fosse immensa la nuova terra d’adozione e si diressero in ogni angolo dell’Argentina, dalla provincia di Buenos Aires fino a Santa Fe e alla Patagonia. Il mondo intanto stava cambiando volto. Se le prime due ondate erano state principalmente economiche, la terza dopo la seconda guerra mondiale fu prevalentemente politica. Ante Pavelic, il leader fascista ustascia che era stato in grado di creare uno stato croato per la prima volta in quasi 1.000 anni, dopo la sua malsana alleanza con l’Asse, si trovò isolato e finì per trovare alcuni anni di pace nell'Argentina di Peron. Altri 20.000 rifugiati politici croati arrivarono attratti dal peronismo, ma i postumi dei problemi in patria si trasferirono in Sud America, dividendo la stessa comunità. Negli anni 50 un famoso sondaggio del Buenos Aires Herald, nonostante la città fosse la capitale de facto del governo croato di Pavelic in esilio, dimostrò che la maggior parte degli immigrati gli preferiva Vladimir Macek, leader del Partito Rurale Croato.
Storie di un tempo che non c’è più. Ci sono altri eventi da raccontare. Nel 2003, Néstor Kirchner Ostoić divenne presidente dell’Argentina. Un’altra discendenza croata da aggiungere all’elenco, con radici lontane nel tempo ma ancora utili per firmare accordi bilaterali tra Buenos Aires e Zagabria. Troppo tardi forse per i croati d’Argentina che hanno vissuto l'inarrestabile assimilazione che colpisce tutti coloro che vivono così distanti dalle proprie origini. C’è una piccola controtendenza, chissà se sono state le nuove sfide sportive tra i due paesi ad aver fatto scoppiare quel nuovo interesse per la lingua croata registrato dalle statistiche.
Oggi però non c’è spazio per la nostalgia. In queste ore ,in Argentina, sta esplodendo l’indignazione popolare per un articolo di Sportske Novosti, il quotidiano sportivo più importante della Croazia, dove viene ipotizzato del “marcio a Doha”. In realtà si parla solo di presunto piano dei biancocelesti per far impazzire gli avversari, tra provocazioni e falli, nella prima ora di gioco. Insomma, i due paesi sono davvero simili. Le accuse reciproche alla vigilia di una partita che, dopo quattro anni, vale ancora la finalissima mondiale contano più di un trattato di amicizia.