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Argentina-Francia è ben di più della sfida Messi-Mbappé
Questo Mondiale non è stato il trionfo delle individualità ma di Nazionali nelle quali i valori tecnici dei calciatori e i valori umani che tengono insieme lo spogliatoio vengono prima della mera tattica
“Dialoghi mondiali” accompagnerà ogni giorno di Qatar 2022. Un dialogo quotidiano tra il calcio e il faceto tra Fulvio Paglialunga e Giuseppe Pastore sui temi di giornata, o forse no, dei primi Mondiali invernali della storia.
Fulvio – Oggi voglio farti un po' di elenchi: l'Argentina è arrivata in finale superando Australia, Olanda, Croazia; la Francia se l'è vista con Polonia, Inghilterra, Marocco. A naso mi sembra che la Francia abbia già fatto qualcosa in più, peraltro vincendo sempre nei novanta minuti. Se c'è una squadra più in salute delle due, credo sia quella di Deschamps.
Giuseppe – Tu dici? A me sembra che la Francia arrivi alla finale un po' sulle gambe, e che contro Inghilterra e Marocco sia andata un po' in sofferenza, mentre l'Argentina col passare dei minuti ha trovato la quadra e rischiato sempre meno: tanto contro la modesta Australia, meno contro l'Olanda, zero contro la Croazia. Anche per questo secondo me è una delle finali più incerte ed equilibrate della storia recente dei Mondiali, diciamo da Italia-Francia 2006 in poi.
Fulvio – Allora te ne faccio un altro, perché quello che la Francia sta facendo secondo me è un capolavoro, considerata anche la qualità del calcio che stanno mostrando e il valore degli avversari superati senza quasi mai che fosse in dubbio la proprio superiorità. Eccolo: Kimpembe, Benzema, Nkunku, N'Golo Kante, Pogba, Lucas Hernandez, Maignan, in ultimo anche Rabiot e Upamecano. Sono i giocatori che mancano dall'inizio o sono mancati in corsa alla Francia. Prova a immaginare un'altra nazionale con un numero così di assenze. No, non voglio parlare solo della Francia, ma nobilitarne il cammino. Poi andiamo sugli altri, giuro.
Giuseppe – Sì, tutto giusto: ma del resto sono anni che ci divertiamo a fare le tante possibili formazioni alternative della Francia, l'unica squadra al mondo che potrebbe essere arrivare almeno ai quarti di un Mondiale con almeno tre rose diverse. In questo spicca la capacità di gestione silenziosa e sicura di Deschamps, che non è certo un uomo cui manca il carisma nonostante sembri sempre un po' sbeffeggiato e relegato il secondo piano: deve aver pungolato a lungo l'orgoglio dei "superstiti", divertendosi a leggergli i pronostici di tutti quelli che li davano per spacciati dopo l'infortunio di Benzema. E poi va detto che i due più forti sono rimasti sanissimi: Mbappé e Griezmann, raro caso di potenziale Mvp di un Mondiale con zero gol segnati.
Fulvio – Quella di Griezmann è una delle storie migliori di questo Mondiale. Sta giocando meravigliosamente, da mediano, da trequartista, da rifinitore, da difensore aggiunto. È un caso incredibile di trasformazione in corsa, ma diventa ancora più curioso se pensi a come ha iniziato questa stagione. Vale la pena prendersi un po' di spazio perché è paradossale: lui era in prestito all'Atletico dal Barcellona, con il riscatto obbligatorio a 40 milioni se avesse giocato più della metà del tempo della stagione. L'Atletico non voleva pagare quella somma e per tutta la prima fase della stagione lo faceva entrare dalla panchina per trenta minuti. A volte ha anche risolto la partita, ma era curiosa questa forma di cottimo al contrario: non giocava troppo perché altrimenti dovevano pagarlo. Immagino che per un giocatore (che peraltro è un pezzo di storia dell'Atletico) non dev'essere facile sapere che vai in panchina non per questioni tecniche, ma perché altrimenti la società deve comprarti e non vuole. C'era una sorta di "minuto Griezmann", che era quello intorno al quarto d'ora della ripresa, in cui Simeone lo mandava in campo. Un caso curiosissimo, risolto alla fine di ottobre con un accordo: l'Atletico ha trovato un accordo con il Barcellona, l'ha riscattato per venti milioni, lui ha firmato un contratto fino al 2026 e forse anche per questo è arrivato al Mondiale un po' più riposato e molto carico per aver risolto una situazione grottesca. In ogni caso, sta riempiendo di meraviglia le sue partite.
Giuseppe – La sua dedizione per la maglia bleu ha fatto il resto: in Nazionale non salta una partita dal 2017. Ed è merito di Deschamps anche questo, naturalmente. In fondo a questo Mondiale sono arrivati 4 commissari tecnici in secondo piano, alcuni dei veri e propri tappabuchi come Scaloni, che iniziò come interim di Sampaoli per non andarsene mai più, o come Dalic, che si guadagnò la conferma dopo aver portato la Croazia ai Mondiali 2018, o come lo stesso Regragui che si è insediato solo ad agosto. È la conferma implicita della legge del Mondiale, sempre un po' più semplice del "calcio vero": i valori tecnici dei calciatori e i valori umani che tengono insieme un buono spogliatoio vengono prima della mera tattica (a meno che tu non sia van Gaal, ah ah ah).
Fulvio – Era troppo tempo che non parlavi di van Gaal e mi stavo preoccupando. Però sì, ai Mondiali va avanti chi trova la formula per tenere insieme i migliori. Ma anche i migliori devono essere centrati con il calcio che si vuole e si sa fare. Certo nessuno manda in campo i giocatori facendo decidere a loro, hanno un’idea. Penso a Luis Enrique, che certo non ha fatto un Mondiale da ricordare, ma a mio modo di vedere ha fatto le scelte giuste nelle convocazioni. Anche se poi è un paradosso la narrazione: perché sembra che questo Mondiale sia diventato Messi contro Mbappé, quindi il trionfo delle individualità, e anche qui serve trovare la chiave giusta per raccontare, perché loro sono dei giocatori meravigliosi, che rendono più facile il lavoro degli altri, ma fino a questo momento Argentina e Francia, e prima anche Marocco e Croazia, sono arrivate tra i migliori proprio perché sono stati un collettivo. Con dei capi, certo. Ma collettivo.
Giuseppe – Che Maradona abbia vinto "un Mondiale da solo" è una favoletta affascinante, ma anche l'Argentina 1986 era una squadra di ferro allenata da un ct estremamente furbo, con in più la ferita psicologica della guerra delle Malvinas da sanare a tutti i costi. Purtroppo non capisco (o capisco benissimo) questa corsa alla banalizzazione del calcio, che raggiunge lo zenit in questi grandi eventi di massa: gli ultimi 5 gol della Francia sono stati segnati da 5 giocatori diversi, perché ridurre tutto a Mbappé? Se l'Argentina ha migliorato regolarmente la tenuta difensiva nelle ultime partite, cosa c'entra Messi? Ma temo sia una battaglia persa, almeno per un pubblico over 40 che non ha voglia o tempo di approfondire.
Fulvio – Però sono due di cui val la pena parlare, a patto di non banalizzare. Due giocatori che hanno messo insieme una quantità di capolavori solo in queste partite che vanno mostrati e sottolineati. Però sono emersi anche altri giocatori, proprio per le scelte dei tecnici e per l'esaltazione del collettivo. Parlavano l'altro giorno di Julian Alvarez, che Scaloni ha tirato fuori e che ora dovrà tirare fuori anche Guardiola, perché se hai lui e Haaland nella stessa squadra devi trovare il modo di farli convivere. Poi i Mondiali sono anche quella cosa per cui hai Mbappé, ma se lui inventa devi avere un Kolo Muani che entra e segna al primo pallone che tocca. E abbiamo parlato anche di Griezmann, ed è spuntato (sì, spuntato perché fuori il primo che pensava potesse essere decisivo) Giroud, e anche Enzo Fernandez, così cominciamo a parlare un po' di più dell'Argentina altrimenti sembra che ci interessi solo la Francia...
Giuseppe – Il mio argentino preferito al di là dei soliti noti è Rodrigo De Paul: uscito a pezzi dall'esordio con l'Arabia, rilanciato in un ruolo profondamente diverso da quello in cui l'avevamo ammirato a Udine, ma interpretato con la stessa cattiveria che poi è quella dell'Argentina migliore. Si fanno tanti parallelismi tra il 2022 e il 1986: ecco, De Paul è un esempio di argentino eterno, che sarebbe titolare in tutte le Argentine della storia.
Fulvio – Vincere la ferocia dei Mondiali non è da tutti, questo avvalora il tuo giudizio. Perché quando ti giochi tutto in poche partite una giornata storta può rovinarti tutte le altre. Queste sono le occasioni in cui penso a Zaccardo, che è un campione del mondo ma alla fine di lui ci ricordiamo solo dell’autogol nel 2006. O, se vogliamo tornare a oggi, penso di nuovo a Cheddira: con il Marocco così forte e con un gruppo di giocatori, soprattutto Ounhai, ora cercati da mezza Europa, è riuscito a fare una brutta figura che temo gli rimarrà appiccicata.
Giuseppe – Povero Cheddira, in fin dei conti ha partecipato a due imprese storiche! No dai, si è fatto valere anche lui. A proposito, per te chi è stato il peggior giocatore del Mondiale? In rapporto al valore e alle aspettative, io non ho dubbi: Kevin De Bruyne.
Fulvio – Sai che lo penso anche io? Ma forse perché l’Olanda non ha brillato particolarmente nei singoli, che pure aveva. Ha fatto un Mondiale da raccontare, soprattutto per la punizione al 100’ contro l’Argentina, ma perché il fuoriclasse è quel signore di cui non hai proprio parlato. E poi mi ha deluso Ronaldo, ma ne abbiamo già parlato fin troppo.
Giuseppe – Di cosa parliamo adesso quindi? Argomento a piacere: il gol più bello del Mondiale. Per me, Richarlison contro la Corea del Sud.
Fulvio – Io resto sempre su Richarlison, ma quello contro la Serbia. L’ho detto a caldo e lo confermo, anche se tu dicevi che era presto e secondo me ora dici sempre Richarlison, ma contro la Corea solo per non darmi ragione.
Giuseppe – Fumiamo il calumet della pace trovando un accordo sull'inutilità di Marocco-Croazia di sabato pomeriggio, che però magari potrebbe servire a celebrare il primo storico podio mondiale del calcio africano. I croati penso giocheranno direttamente in infradito.
Fulvio – Ma secondo te dobbiamo commentare pure quella? Di quanto sia inutile ne abbiamo già parlato. Però non vorrei che Infantino ci restasse male.
Giuseppe – Beh, di solito sono partite divertenti! Dal 1982, sono una volta ci sono stati meno di tre gol (in Belgio-Inghilterra 2-0, 2018). E poi la sbornia Mondiale va smaltita poco alla volta.
Fulvio – E vabbè, ma il calcio è risultato. Pero dai, abbiamo fatto fatto 62, facciamo 63.
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA