Qatar 2022
La toponomastica e l'arte in Argentina ci ricordano quanta Francia c'è in Sud America
Paesi che sono nomi e cognomi di emigranti francesi, palazzi che utilizzano stilemi transalpini e storie di fughe dalla fame e ritorni calcistici
La storia è viva, intere generazioni raccontano il frutto casuale di migrazioni e incontri. Accade ogni giorno, anche nel calcio, con qualche eccezione. La finale del Mondiale tra Argentina e Francia per esempio non è un caso, al contrario è l’affermazione del merito per le due squadre migliori viste in Qatar. Due Nazionali che rappresentano la terra promessa per due formazioni piene di talenti, figli a loro volta di scelte che mescolano ricordi e sofferenze. Se oggi la Francia è diventata il porto sicuro per chi cerca una vita migliore lontana dalle proprie origini, una volta lo era il Sud America. Era quel luogo mistico e distante che prometteva tanti sogni quanti Messi ne regala agli appassionati di calcio.
Assai meno romantica fu la fame che portò decine di migliaia di francesi, soprattutto dalle vallate e dalle montagne più povere, ad attraversare l’Atlantico. Vicende che talvolta sono capaci di riunire, sotto un unico cappello di fratellanza, le persone più diverse. Si parte sempre da Diego Armando Maradona, l’ultimo numero 10 ad alzare una Coppa del Mondo in maglia biancoceleste, per raccontare la forza del suo popolo. Non è una coincidenza quindi se Maradona nacque a Lanús, una città che si chiama come l’antico proprietario delle terre dove sorge, ossia Anacarsis Lanusse, figlio di un immigrato francese. Già, la Francia. In Argentina sono dozzine le località che portano il nome e cognome di cittadini francesi, come l’abitato di Bernardo Larroudé che curiosamente non ha mai visto vivere lì colui da cui ha tratto il toponimo. Il richiamo alla terra natia è l’ancora di salvataggio più rassicurante quando ci sentiamo smarriti. Forse per questo Villa Nougués vuole ricordare un paesino sul Col du Tourmalet mentre invece si trova alle pendici delle Ande, a 1.350 metri d’altezza, con un borgo che rievoca in tutto e per tutto l’antica regione pirenaica del Comminges.
Anche a Buenos Aires è la toponomastica ad aiutarci a capire il senso originario del luogo dove ci troviamo. L’esploratore Louis-Marie-François Tardy de Montravel, già governatore della Guyana francese, disse che la capitale argentina “portava il marchio della Francia”. Aveva ragione. Non a caso, per le strade della metropoli, da fine 1800, si affermò l’architettura Beaux-Arts che ha caratterizzato una buona parte degli edifici pubblici tuttora presenti. Insomma, l’arte ci permette di risalire alla storia di tutte quelle situazioni in cui entriamo quasi da estranei.
Stava per capitare anche nel calcio.
Il 10 novembre 2006 Gonzalo Higuain non rispose alla convocazione dell’allora ct francese, Raymond Domenech, per l’amichevole che la Francia avrebbe disputato contro la Grecia. Il rifiuto dell’allora 18enne attaccante del River Plate, nato a Brest quando suo padre – anch’egli calciatore – militava nella squadra locale, fece aprire una lunga polemica sul concetto di nazionalità e identità. “Ha sempre rivendicato la sua nazionalità francese”, disse un furente Domenech, “e come ogni giocatore francese deve rispondere presente quando è convocato in Nazionale, indipendentemente dal suo club e dal suo passato”. Il ct forse non sapeva che non esiste niente di più forte del legame che c’è tra Francia e Argentina.
Se non bastassero le origini in comune, abbiamo anche il presente a dimostrarlo. I giocatori simbolo delle due Nazionali giocano entrambi a Parigi. Messi e Mbappé rappresentano il connubio tra calcio e arte, un rapporto che procede lungo un cammino ormai parallelo.
Domenica però solo uno dei due tornerà al Paris Saint-Germain con l’effige da campione del mondo. O meglio, da campione dei due mondi.