Musica da stadio
Otto anni fa, il coro che accompagnò Messi alla finale fu irriverente e foriero di sventura. Oggi l’Albiceleste cambia spartito e il calcio scopre un nuovo tormentone
È il tormentone della torcida. Ma non solo: lo cantano anche Messi e compagni, saltellanti e incessanti, in spogliatoio, dopo ogni vittoria dell’Albiceleste a Qatar 2022 dal 2-0 sul Messico in poi. Perché in effetti “Muchachos”, brano del gruppo ska argentino La Mosca Tsé-Tsé riarrangiato per i Mondiali, ha tutti gli ingredienti del romanzo di formazione. O di redenzione collettiva: la partenza da casa – “tierra del Diego y Lionel” –, la storia famigliare – quella vera, con l’ennesimo tributo canoro ai caduti delle Malvine –, il rovescio della sorte – lunga lista di finali perse: 1990, 2007, 2014, 2015, 2016, “cuantos años la lloré” –, il riscatto – la Copa America vinta contro il Brasile – e il grande sogno. “Ganar la tercera, ser campeón mundial”. Conquistare il terzo titolo, domenica contro la Francia. Il tutto, così si chiude il coro, con lo sguardo benevolo di Maradona che dal cielo fa il tifo per Lionel: l’intera cosmologia argentina in due versi.
Anche questo è il bello dei Mondiali. Ciascuna edizione associata a una musica, a un ritmo, a un ritornello: l’ha voluto sottolineare anche il nostro Marco Balich nella cerimonia d’apertura allo stadio Al Bayt. A volte a fare il pieno è l’inno ufficiale – “Waka waka” ne abbiamo? –, altre prevale la spontanea creatività dei tifosi. E qui la fiumana di gente da Buenos Aires e dalla Pampa è comprovata specialista. Già nel 2014, le spiagge di Rio de Janeiro furono travolte da “Brasil, decime que se siente”, accattivante motivetto a passo di cumbia che accompagnò la cavalcata della Selección per tutto il torneo. Con una certa tracotanza: pur di pungolare la nazione ospitante e rivale di sempre – “Maradona es más grande que Pelé” –, il testo ricordava l’antico 1-0 sul Brasile a Italia ’90, in un Mondiale che l’Argentina chiuse al secondo posto. Così come sarebbe accaduto nel 2014.
Più prudenti, a tal proposito, le squadre europee. Quell’anno la Germania si limitò a battere e strabattere le sudamericane sul campo. E soltanto dopo che Philipp Lahm alzò la coppa al Maracanà, la hit dell’estate tedesca sarebbe diventata “Weltmeister”: un singolo del concertista techno Tobee, che diceva più o meno “saremo noi i campioni quest’anno”. Scaramanzia teutonica più che latina, chi se l’aspettava. Stesso copione nel 2018. La Francia trionfa in Russia e pochi giorni più tardi un certo Vegedream pubblica “Ramenez la coupe à la maison”, un’ode trap di immediato successo a “Umtiti, Kanté e maestro Kimpembe” – curiosità: degli otto protagonisti cantati nelle prime cinque strofe, solo Mbappé e Dembelé sono arrivati fino a Doha.
E noi italiani? Come sempre sul pezzo. Il giro di basso di “Seven nation army”, brano del 2003 a firma del duo rock The White Stripes, è stato tradotto nelle notti di Germania 2006 in uno dei cori da stadio più efficaci della storia (mica difficile, dopo tutto, cantare “po, po po po po po, po”). Altre notti invece, quelle di Nannini & Bennato, sono “magiche” e addirittura doppie: brano ufficiale dei Mondiali ospitati nel 1990, canto ufficioso di Euro 2020. Per gli Azzurri, la replica integrale fu una fortunata rivincita a trent’anni dalla delusione. L’Argentina, invece, oggi ha realizzato di dover espiare l’irriverente stagione delle esultanze anticipate cantando qualcosa di interamente nuovo. “Muchachos” funziona soprattutto per questo: è una ballata sofferta, consapevole e grandiosa. Come l’ultimo tango di Messi, a un passo dalla coppa.