campioni del mondo
L'Argentina vince la più bella partita nella storia dei Mondiali
Il Mondiale nel deserto alla fine è stato perfetto, non solo sotto il profilo tecnico. E alla fine Messi e Mbappé sono stati premiati abbracciati e coccolati dal loro vero datore di lavoro, l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani: qualcosa vorrà pur dire
Tra l’80esimo e l’81esimo minuto la Dea Eupalla (che non sappiamo se per le regole religiose della Fifa possa essere evocata) ha recapitato alla Seconda Squadra del Qatar due ricchissimi cadeaux che manco due trolley di contanti in un appartamento di Bruxelles. Non è bastato nemmeno questo, come sapete, a ribaltare in favore francese una finale che fino al minuto ottanta e alla follia di Otamendi l’Albiceleste aveva stradominato come nemmeno nei sogni sudati di Lele Adani. L’Eupalla, ad ogni buon conto, ci ha regalato un extra time di emozioni lungo trenta minuti d’artificio, che al netto dei rigori ha fatto di Argentina-Francia la più bella partita nella storia di Mondiali, prima o a pari merito con Italia-Germania 4 a 3.
Se non fosse che la semifinale di Mexico 70 avrà sempre dalla sua due superiorità sensoriali: il bianco e nero, e la mancanza del secondo commentatore. Ma niente da dire, quei trenta giri d’orologio sommati ai minuti d’apnea dei rigori sono stati una meraviglia, il puro calcio. Prima era stata solo Seleccion da lustrarsi gli occhi.
Volendo fissare un punto saldo di equanimità, prima di passare ad altro, va detto a chiare lettere, fossero pure caratteri arabi, che Qatar 2022, il Mondiale d’inverno, il Mondiale nel deserto e con gli spacca marroni dei diritti e della geopolitica che volevano rovinare la festa, è stato invece perfetto: bellissimo sotto il profilo tecnico, con le due migliori in assoluto arrivate in fondo. E anche gli stadi, diciamolo, erano bellissimi. E se il vecchio Panzeri ha oliato su qualche ruota per favorire lo spettacolo, un punto di difesa a suo favore.
Ora invece che la sinistra moralista e macronista può tornarsene con le pive nel sacco a occuparsi del mantenimento di stadi da rottamare come San Siro (io un paio di archistar da Doha le ingaggerei), noi felici di aver goduto una delle partite più belle del mondo possiamo dedicarci – succhiando la birra gentilmente offertaci dall’amico Jack O’Malley, che sta rosicando amaro – a due considerazioni di puro calcio.
Giusto per dire che era dal 9 luglio del 2006 che non ci divertivamo così tanto (limitandoci con pardon al calcio delle nazionali), da quando il grande Trezegol, che il paragnosta Domenech non schierava mai perché glielo avevano detto le stelle, stampò l’ultimo rigore sulla traversa. E la Dea Eupalla ci regalò quella manciata di secondi infiniti in cui nel delirio ci sembrò che quel semipippone di Fabio Grosso fosse davvero Nilton Santos-Facchetti-Cabrini in una sola trinità. Per dire, insomma, che non si gode mai così tanto come quando perdono gli spocchiosi Blues con la loro grandeur stampata in faccia. (A proposito di imperi senza più ragion d’essere, era stato un bel momento per chi ama il calcio anche il 10 dicembre, quando fu proprio la banda Mbappé a mandare a casa il presuntuoso Southgate ai quarti. E il pensiero che i Leoni per alzare di nuovo la coppa dovranno aspettare almeno sessant’anni, è una delizia).
Comunque sia, la finale più bella mai vista, con gli sciagurati latinos che quasi guastano la festa a sé stessi e a 7/8 del resto del mondo (persino Deschamps aveva detto alla vigilia: tutti tifano Argentina, anche in Francia c’è chi tifa Argentina), con Messi che finalmente si toglie le ultime nuvole che offuscavano il suo astro, El Fideo che è quel che è, Dibu Martinez una canaglia para-tutto e là sopra, nel cielo albiceleste sopra il Qatar, la Mano de Diòs. Be’, spettacolo. E alla fine Messi e Mbappé, miglior giocatore e capocannoniere, sono stati premiati abbracciati e coccolati dal loro vero datore di lavoro, l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani: qualcosa vorrà pur dire.
Ma già pensiamo alla prossima, fra quattro anni, e sarà una festa delle democrazie occidentali, America Canada e (mettiamoci pure il Messico). E tra quattro anni l’unica cosa che sappiamo, già ora il giorno dopo Doha, è che la Pulce non ci sarà, ma che la favorita sarà ancora la Francia di Mbappé e di quella perfetta macchina da calcio che è il centro di Clairefontaine. Nei subcontinenti come Argentina e Brasile, o in Africa, il calcio è ancora germinazione spontanea, evviva. Ma in Europa, il calcio è business, scienza e selezione del talento.
Ps. Alla fine Macron, senza giacca manco fosse da Caressa, sembrava che invece che la finale avesse visto un comizio di Mélenchon. Che meraviglia. Don’t cry for me, Argentina.