Quando un cane "vinse" la Coppa del mondo
Domenica 20 marzo del 1966 il Trofeo Rimet era sparito dalla Central Hall di Westminster. Quei tre giorni nei quali il Mondiale perse il suo trofeo
I vertici di Scotland Yard si trovano nella seccante circostanza di dover dare spiegazioni alla stampa. E sanno benissimo che quando avranno finito con i giornalisti il corpo di polizia verrà declassato a zimbello nazionale. D’altra parte la storia è così singolare che genera preoccupazione e ironia, anche se in parti non del tutto uguali. È domenica 20 marzo del 1966 e il Trofeo Rimet è appena sparito dalla Central Hall di Westminster. Un contrattempo grottesco per un paese che quattro mesi più tardi deve ospitare il Mondiale.
I primi rilievi sono sconfortanti. Il Trofeo è stato prestato a una nota casa filatelica, la Stanley Gibbons, per essere esposto in una mostra dal titolo: "Lo sport e i francobolli". Poi, dopo neanche un giorno, qualcuno ha smontato tre viti dalla maniglia della porta che immette nella Central Hall, ha rimosso il lucchetto, ha forzato un’altra porta non troppo resistente e ha aperto una teca di vetro con una chiave finta. Tutto senza che nessuno si accorgesse di niente. La Football Association è furente. Perché si era raccomandata che il trofeo venisse sorvegliato notte e giorno. L’uomo che dirige le indagini, il capo ispettore Little, è sicuro di trovarsi di fronte a un ladro esperto e anche parecchio scaltro. "Non ha lasciato alcuna impronta digitale", dice. "E non ha dimenticato nessuno dei suoi strumenti", aggiunge ammirato. La partita a scacchi sembra essere più complicata del previsto.
Dopo qualche ora viene pubblicato un primo identikit. Si cerca un uomo sulla quarantina, alto uno e 75, magro, con i capelli impomatati, capelli scuri e, forse, ma è ancora da confermare, anche una cicatrice sul viso. Il problema è che nessuno sembra riconoscere quell’uomo. Anche se la compagnia presso cui è assicurata la Coppa ha offerto una ricompensa di quasi 10 milioni di lire a chiunque fornirà indicazioni utili per ritrovare il trofeo. Le indagini fanno emergere particolari surreali. Al momento del furto le guardie, di cui una aveva quasi 74 anni, erano assenti per una pausa. E per rendersi conto dell’assenza del trofeo ci hanno messo circa un’ora. In più "c’erano due descrizioni separate di due sospettati completamente diversi – dice Martin Atherton, autore del libro The Theft of the Jules Rimet Trophy – uno era alto e uno era basso. L’identikit della polizia era una fusione delle due descrizioni".
Le ore passano frenetiche. Denis Howell, il ministro dello sport, afferma che se il trofeo non verrà ritrovato prima di luglio il Governo britannico offrirà una Coppa nuova, molto simile all’originale, dedicata però a Sir Winston Churchill. Un giornale locale commenta: "Almeno in questo modo un tifoso inglese si è assicurato che la Coppa resti in Inghilterra". La polizia non può dirlo apertamente, ma non ha neanche una traccia da seguire. Così per sicurezza viene battuta qualsiasi pista, anche le più strana. In un bar di Londra qualcuno lascia un biglietto sotto un bicchiere. Sopra c’è scritto: "Se volete la Coppa del Mondo andate al collegio tecnico di Hendon e chiedete di un certo Davis". Solo che in quel collegio, di Davis, ce ne sono addirittura nove. E uno è per giunta un professore. Due giorni più tardi il presidente della F.A. e del Chelsea, Joe Mears, riceve un pacco anonimo in casa sua. Dentro c’è il rivestimento removibile della Coppa e una lettera anonima. Le istruzioni sono chiare: per riavere il trofeo deve preparare una borsa con 15mila sterline in banconote di piccolo taglio, poi deve inserire un annuncio in codice in una sezione del The Evening News. Maers annuisce ed esegue. Ma solo dopo aver chiamato la polizia. Il 24 marzo il presidente riceve una telefonata anonima da un tale che dice di chiamarsi Jackson e che gli dà appuntamento davanti al cancello di Battersea Park. Maers si presenta con una valigetta piena di fogli di giornale coperta da un sottile strato di banconote vere. Non è un granché, ma è comunque sufficiente ad arrestare il mediatore dopo un inseguimento.
L’incubo finisce tre giorni più tardi.
Verso le 21 David Corbett, una ragazzo di 29 anni, esce dalla sua casa nella periferia londinese per portare a spasso il suo cane Pickles e telefonare da una cabina alla cognata incinta. Dopo pochi passi, però, il quadrupede si mette a correre verso la fiancata dell’auto del vicino. E non si sposta più. Corbett si avvicina e nota uno strano oggetto avvolto in un foglio di giornale sotto alla ruota anteriore dell’auto. "In quei giorni l’Ira era in azione – ha raccontato – così mi sono detto: 'Sarà una bomba?'". L’uomo strappa un po’ l’involucro e vede che sotto c’è scritto: "Brasile, Germania Ovest, Uruguay". Così corre alla centrale di polizia. "Credo di aver trovato la Coppa del Mondo", dice al sergente di turno. L’agente lo guarda e risponde: "Caro, non mi sembra una Coppa del Mondo". Gli esami confermano che si tratta proprio del trofeo. Il caso è risolto, anche se per qualche ora Corbett viene considerato il sospettato numero uno. Quando tutto è chiarito Pickles reclama la sua ricompensa. Ma c’è un intoppo. Mears, il presidente della FA, dice che quei soldi in realtà spettano a lui, visto il suo contributo fondamentale. L’assicurazione è di avviso contrario. Le indicazioni di Mears hanno portato all’arresto di “Jackson”, non al recupero della Coppa. Quindi l’assegno deve essere intasato da Corbett. Pickles divenga una star. Viene invitato in tv, appare in un film con Eric Sykes intitolato La spia col naso freddo, vince il premio cane dell’anno. Viene addirittura invitato dalla Federazione al party per la vittoria dell’Inghilterra nella coppa del Mondo. Solo che appena entra nella hall dell’albergo, Pickles decide di fare la pipì sul tappeto. Davanti a tutti. Il suo periodo di gloria, però, dura poco. «Era un cane bravissimo, aveva solo un difetto: non sopportava i gatti», dirà Corbett. E nel 1967 Pickles sfugge al padrone per inseguire un felino. Lo ritroveranno poco dopo, strozzato dal collare mentre provava a inseguire il micio sull’albero. Una triste fine per il cane che aveva salvato la Coppa del Mondo.