Gianluca Vialli (LaPresse)

(1964-2022)

È morto Gianluca Vialli, con le sue idee svecchiò il calcio

Enrico Veronese

Dandy scanzonato, ossigenato o rasato, con il pizzo o la barba brizzolata, è stato simbolo del calcio italiano tra gli anni Ottanta e Novanta. L’Under 21 di Azeglio Vicini, il sodalizio con Mancini alla Samp, i suoi gol e l'amata Inghilterra

Impossibile credere alla precoce scomparsa, a 58 anni, di “Stradivialli”, definizione di Gianni Brera, del quale pure ricorrono i trent’anni di eternità: Gianluca Vialli era la gioventù, la sua idea di calcio fresca, divertente, poco paludata. Lo svecchiamento della forma, di metodi e ruoli che la Sampdoria di Paolo Mantovani stava praticando non piacevano dappertutto: Vladimiro Caminiti, decano dei cronisti di scuola torinese, scrisse editoriali contro la nouvelle vague blucerchiata e il suo alfiere ye-ye. I più gli volevano bene perché provava a vincere a modo suo, rimanendo a Genova.

       

Esiste un momento preciso nel quale il calcio italiano ed europeo hanno preso la piega attuale. Nella tarda primavera 1996, con gli effetti della sentenza Bosman, che permette lo svincolo ai calciatori in scadenza di contratto, Gianluca Vialli e Fabrizio Ravanelli – neocampioni d’Europa con la Juventus – si accasano rispettivamente al Chelsea e al Middlesbrough. Il 32enne di Cremona è stato il simbolo del calcio italiano: la Serie A perde la primazia e l’appeal dei quindici anni precedenti, la nuova Mecca è oltre Manica.

    

A determinare la simpatia generale verso Vialli e il “gemello”, alla Sampdoria, Roberto Mancini era stata l’Under 21 di Azeglio Vicini, che giocava bene, spettacolare: veloce, aggressiva, brillante. Azzurrini e mister si trasferirono in blocco nella Nazionale maggiore – da ricostruire dopo il fallimento del Mondiale del 1986 in Messico – e continuarono a macinare gol e risultati, sfruttando tutte le loro potenzialità.

     

Attaccante moderno, rapido e potente, sapeva sgomitare in area e girare al largo per difendere la palla: segnava di piede e di testa, con un’altra punta vicino o un trequartista alle spalle. Quel trequartista: il sodalizio con Mancini resterà una delle amicizie più belle nel calcio internazionale. Simili? Complementari piuttosto: lazzi e punzecchiature, ma in campo un’intesa cieca concretizzava il lavoro di squadra e le intuizioni di un altro burlone, il tecnico Vujadin Boškov. Con il serbo era accordo istantaneo: Vicini un buon padre, Giovanni Trapattoni lo mise in riga, Marcello Lippi gli diede la seconda giovinezza. Solo Arrigo Sacchi, ct non cresciuto in Federazione, nell’applicare le proprie teorie ritenne di non aver bisogno del marine: ci rimisero tutti.

   

La Samp collezionava Coppe Italia e finali di Coppa delle Coppe: contro l’Anderlecht a Göteborg, una doppietta di Gianluca stese i belgi ai supplementari. Le tre vittorie italiane nelle altrettante competizioni europee (fantascienza, a pensarci oggi) dovevano aprire la strada all’affermazione nei Mondiali di casa: ma Vialli arrivò affaticato e carico di pressioni, finalizzatore designato di una squadra formidabile. Il rigore sbagliato nella seconda partita con gli Stati Uniti lo relegò in panca al boom di Schillaci e Roberto Baggio: riemergerà solo nella disgraziata semifinale contro l’Argentina, vi fu addirittura chi gli attribuì le colpe.

 

Qualcosa si era rotto nel feeling con il paese: invece, assieme ai blucerchiati, preparava la stagione dello scudetto. Un anno dopo, a Londra, sfiorò ancora il cielo: furono anche i suoi errori in zona gol a consegnare la Coppa dei Campioni al solito Barça. Gianluca raggiunse la Juve nell’estate 1992: all’iniziò stentò col Trap, ma rinacque ai suoi livelli accanto al giovane Alessandro del Piero. Quindi l’amata Inghilterra, da giocatore-trainer: vi si stabilì, affrontando là anche le ultime ore.

  

I suoi goal, spesso belli: la doppietta d’impeto contro la Svezia nel 1987, il sinistro al volo di Napoli verso lo scudetto ‘91, la rovesciata da pacchetto Panini proprio a Cremona, in maglia Juve. Più ambasciatore che manager, uomo immagine meglio che decisore: allenare non faceva per lui, capace di tenere in contatto le parti. Proprio a Wembley (Italia-Austria) abbracciò il dioscuro separato, la parte pungente di Gianluca. Che intanto cercava di divenire presidente della Sampdoria.

    
Dandy scanzonato, ossigenato, rasato con pizzo o barba brizzolata, addosso una coppola leggera: come il maestro Vujadin, e Siniša Mihajlović altra bandiera, Gianluca Vialli comunicava efficacemente anche con il corpo. Nel calcio vacuo di oggi, lo farà anche il suo assordante silenzio.

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