Sofia Goggia racconta i 23 giorni tra l'infortunio di Cortina e l'argento olimpico
"A volte io sono pervasa completamente dalla paura. Ma la paura come il dolore li superi solo abbracciandoli". Un docufilm che Sky trasmetterà dal 30 dicembre racconta "l’impresa della mia vita"
Sofia non ha paura. Sofia non sente il dolore. Sofia vuole solo andare veloce, sentire volare i suoi sci sulla neve. Sofia si rompe, tanto e spesso, ma non si spezza mai. Che siano 23 giorni o 20 ore per lei fa lo stesso. Prima si rompe, poi si aggiusta. I 23 giorni trascorsi tra l’infortunio nel SuperG di Cortina e l’argento in discesa ai Giochi di Pechino sono diventati un docufilm che Sky trasmetterà dal 30 dicembre. Un racconto della donna ancora più che dell’atleta. Alla ricerca di Sofia più che della Goggia. Solo che ancora prima di andare in onda il docufilm ha rischiato di diventare vecchio perché la scorsa settimana ne ha combinata un’altra delle sue. Una volta le chiamavano “goggiate”. Si è rotta una mano vincendo la discesa di St.Moritz. È volata a Milano a farsi operare e il mattino dopo si è buttata giù a capofitto nel SuperG. “Una sciocchezza perché senza una mano puoi sciare, senza gambe è un po’ più difficile”. Se lo dice lei…
“Quella di Pechino rimarrà l’impresa della mia vita. Quando sono caduta ho capito che c’era qualcosa che non andava nel ginocchio, ma non ho voluto farmi trasportare a valle in toboga. Mai a Cortina, mai davanti ai miei tifosi. Non sentivo più le gambe, non avevo sensibilità alle ginocchia, non c’ero più di testa. Quando mi sono seduta a togliere gli scarponi… non riuscivo a camminare. Ho chiamato i medici e ho detto: questa volta l’ho fatta grossa. Quando l’elicottero mi ha lasciata a Bresso non riuscivo a fare i 150 metri fino all’ufficio dove mi aspettavano. Mi hanno dovuto portare a braccia i due elicotteristi. Il dolore lo puoi sopportare, ma quello che non posso sopportare è vedere la faccia di chi ti ama in quelle situazioni”. La faccia della sua banda. Lo skyman, i suoi dottori di fiducia, l’Herbert e il Panz come li chiama lei. La risonanza non veniva bene, lei non riusciva a stare ferma. Poi l’Herbert che di cognome fa Schoenhuber le dice: “Sofi il crociato c’è ancora… tra dieci giorni sei sugli sci”. Lì è cominciata la sfida contro l’impossibile. Tornare in gara in discesa dopo 23 giorni. Solo con una testa come la sua era possibile. “Se non ci provi per le Olimpiadi quando ci provi? Devi solo chiederti cosa vuoi davvero, darti una risposta e crearti un percorso”. A parole, e lei le sa usare davvero bene, sembra tutto facile. “E’ stata dura, ma la cosa più dura è stata crederci davvero. Sono orgogliosa di quello che ho fatto a febbraio, ma senza le persone che ho avuto di fianco non ce l’avrei fatta”.
“Sono sempre stata una bambina molto introspettiva – racconta nel docufilm – ho sempre reso poco partecipi gli altri della mia solitudine e della mia sofferenza… ho sempre avvertito questo come un gelo profondissimo dentro di me, una voragine ed è sempre stata sola e solamente mia”. La bambina, molto introspettiva, che alle scuole elementari scriveva di voler vincere una medaglia olimpica, adesso è un esempio di tenacia e di forza che racconta di essere “totalmente innamorata della sua vita”.
“A volte io sono pervasa completamente dalla paura. Ma la paura come il dolore li superi solo abbracciandoli. Io ho una sdoglia del dolore abbastanza alta, è vero. Ma ci sono momenti in cui non hai tempo di avere dolore. All’inizio ti aiuta l’adrenalina, poi il dolore se vuoi riesci a non sentirlo concentrandoti su altro. E poi a ma non spaventa il dolore fisico, ma più quello emotivo. Devi abbracciarlo perché poi lo trasformi in una guida”. Un aiuto in tutto quello che fa lo trova anche nella fede. Lo racconta con la luce negli occhi: “Ho sempre avuto molta fede, soprattutto a Pechino in quell’impresa dei 23 giorni. Sono stata guidata da una luce particolare perché è qualcosa che ho sentito dentro. La fede mi accompagna, io leggo il Vangelo tutte le domeniche, ho anche una suora che mi manda la spiegazione del Vangelo del giorno. Leggo e traggo spunto. La chierichetta l’avrò fatta due volte nella vita, alla fede mi ci sono avvicinata io molto tranquillamente e le rare domeniche che sono a casa ogni tanto va a raccontarmi al mio Don…”. Anche questo l’aiuta nelle sue imprese. Muscoli, cuore e anche l’anima.
Riguardando il docufilm sulla sua impresa si emoziona. Ma ancora pensa a quell’argento che per 16 millesimi avrebbe potuto essere un oro. All’inizio era arrabbiata come rivela la sua migliore amica. Ma poi si è resa conto dell’impresa: “Quell’argento ha un valore incommensurabile. Ho vinto l’argento, non ho perso l’oro”. L’unica ad avere dei dubbi era probabilmente lei. Per tutti gli altri quella resta l’impresa dell’anno. Almeno fino alla prossima. “Credo che oggi il mio sguardo sia molto focalizzato sul presente. Perché questo che andrò ad affrontare e che sto affrontando già, sarà per tanti aspetti e può essere sicuramente il quadriennio più interessante, il quadriennio più importante della mia vita da sciatrice, perché, non dimentichiamocelo, io ho 30 anni e riuscire già ad arrivare a Milano-Cortina 2026 sarebbe qualcosa di estremamente importante. È un sogno, ma è chiaramente un obiettivo”. Infinita. 23 giorni. Il miracolo di Sofia Goggia. Dal 30 dicembre su Sky Sport